(L.Valdiserri) – Un pensiero per la Roma, immediato: battere il Chievo, stasera all’Olimpico, nell’anticipo del turno infrasettimanale. Tre punti necessari per dare continuità alla vittoria di sabato sera contro la Fiorentina e combattere quella tentazione tutta giallorossa di rovinare tutto nella partite che sembrano più facili, tipo Palermo e Pescara, un solo punto conquistato su sei disponibili contro una seria candidata alla retrocessione e una già retrocessa. E un pensiero, futuro, per migliorare il lavoro degli allenatori e, attraverso quel lavoro, anche il livello del calcio italiano: l’introduzione del time out.
Aurelio Andreazzoli ha conosciuto molto tardi il piacere di una panchina di serie A, a 60 anni. Ma è tutt’altro che un neofita del calcio. Ha studiato, osservato, lavorato con tanti colleghi dando il suo contributo prezioso. Ha accumulato tanta esperienza e adesso vorrebbe condividerla, prima di tutto con i suoi giocatori e poi con il resto del mondo. Una parte importante del suo lavoro è il dialogo, in totale controtendenza con i lunghi silenzi di Zeman. Un dialogo che, per ottenere risultati, deve nascere in primo luogo con i giocatori.
Tipo Osvaldo, che è tornato a segnare, essere decisivo e persino a sorridere: «Il mio rapporto con lui? Diciamo che sarebbe opportuno evitare un’ammonizione ogni volta che si segna. Dopo la gara di Firenze non ho parlato con lui, ma mi ha abbracciato fortemente. Non c’è stato bisogno di dire niente di particolare. Osvaldo è felicissimo e io lo sono quanto lui, per lui e per la squadra. Mi auguro che adesso ci sia continuità. Quanto ho inciso sul suo recupero? Sinceramente, moltissimo ». E c’è un altro giocatore della Roma—il portiere Bogdan Lobont, che stasera dovrebbe essere titolare anche se a Firenze si è rotto il setto nasale in uno scontro con Gonzalo Rodriguez — che gli permette di toccare un altro argomento a lui caro: «Per me Lobont è un grandissimo. È un numero uno assoluto ed è un piacere averlo dentro lo spogliatoio e usufruire della sua presenza anche quando va in panchina o in tribuna. Sotto l’aspetto tecnico è fortissimo, ma è anche un grandissimo aiuto per trasmettere quello che io voglio alla squadra. Noi allenatori non possiamo parlare alla squadra durante la gara e questo è un problema. È impossibile comunicare negli stadi e, anche se questo è un mondo che contempla la comunicazione a 360 gradi, nel momento agonistico non c’è questa possibilità. In questo, siamo all’età della pietra. Gli altri sport fanno i time out, perché non lo fa anche il calcio?». Il sasso è gettato. Qualcuno, tra i colleghi, vuole raccoglierlo?