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CORRIERE DELLA SERA Scaramanzie, riti e silenzio: derby in clausura

Stadio Olimpico

(G. Cavalli) – Potremmo definirla la Sindrome dell’Abate Faria. Quella che spingerà uno stimato notaio (romanista) a seppellirsi in una cantina di 3 metri per 3, dalle 15 di domenica pomeriggio, per non riemergerne che a sera inoltrata, quando sarà tutto finito. «Ecome sarà andata lo capirò dalle bandiere, ma prima non voglio saperne niente» spiega Alfredo Maria Becchetti, che in previsione del lungo auto- esilio si attrezza: «Che faccio? Metto a posto». E quando ha finito? «Beh, le pareti sono tutte tappezzate dai poster dei calciatori stagione 82/83», dunque probabilmente farà offerte votive ai Penati scudettati. Mai come stavolta che ci si gioca in un colpo solo primato cittadino/ un trofeo che è sempre meglio di niente/Europa League/Supercoppa/ la faccia – e la Coppa Italia perciò sembra la Champions – la vigilia della finalissima è un cilicio che laziali e romanisti avrebbero volentieri evitato di indossare. Non andranno in tanti allo stadio – anche perché la partita la trasmettono in tv – ma la novità è che per non soffrire pene indicibili i più a casa terranno spenta pure quella, niente radio, zero Facebook, zitto Twitter, finché il destino non sarà compiuto e sarà Inferno o Paradiso.

Prevale la strategia del silenzio. C’è gente che non ne vuole nemmeno parlare e cambia argomento. Chi si prepara ad una domenica solitaria di clausura. «Mi chiudo in casa e non voglio vedere nessuno» annuncia lo scrittore Alessandro Piperno (biancazzurrissimo, come testimoniava la mattonella “Qui vive un Laziale” apposta accanto al citofono, ora trasferita in libreria) perché questo special- derby richiede più concentrazione di un romanzo. «Non è un evento da condividere con nessuno, non è una festa, è una partita terribile, che andrebbe abolita. Qui non ti puoi nemmeno augurare un bello 0 a 0 giocato tutto a centrocampo». Qualcuno deve perdere per forza e tutti hanno un brutto presentimento che riguarda la propria squadra. «Ho amici romanisti che non si fanno sentire da una settimana e che forse non sentirò mai più, spero per colpa loro». C’è persino chi è pronto a negare la realtà: «Mi tappo in casa, solo, col megaschermo» rivela una celebre (qui anonima) firma del Corriere. «Se la Roma perde, fingerò che non sia successo niente ed uscirò a passeggiare il cane come niente fosse».

Mica tutti hanno il piglio del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri che solo la comunione della nipotina, e giammai l’ansia, terrà lontana dallo stadio. «Ci sarei andata, ma devo fare la nonna», racconta divertita dai patimenti calcistici. «Io non soffro, però griderò Forza Roma fino all’ultimo dei miei giorni». Non ha la stessa tempra Giancarlo Governi, scrittore e storico autore Rai, spasimante laziale, che ha proposto seriamente «di rinunciare alla finale e cedere il nostro posto all’Inter o alla Juve per non dover vivere questo supplizio moltiplicato all’ennesima potenza». Ha rifiutato l’accredito per lo stadio: «Devono venirmi a prendere le SS». Sofferenza sì, ma con diritto di privacy.

Due amici, un commercialista romanista e un avvocato laziale, prenderanno il largo a Fiumicino per andare a pescare «partenza alle 17 e ritorno alle 21.30 e l’unica radio sarà quella di bordo per le emergenze» e l’unico derby sarà quello dei merluzzetti. Persino uno del mestiere,Patrizio Cacciari, giornalista di TeleRoma56, autore di «101 gol che hanno fatto la storia della Roma » e di «Sud, la Curva Magica», ad andare all’Olimpico non ci pensa nemmeno. «Forse la vedo da solo, ma forse invece stacco tutto, non voglio sapere, siamo in tanti a pensarla così, già la stagione è stata quella che è stata, perdere la Coppa Italia sarebbe un fallimento totale».

Sarà che magari è un rito anti-jella pure questo, fatto sta che Enrico Vanzina invece fa lo spavaldo: «Tutta questa tensione è esagerata, pensiamo invece a fare una bella figura come città di sport, una volta tanto. Oltretutto finisce che così mettiamo troppa ansia ai giocatori. Se vince la Roma bene, se vincono loro, ciccia». Sarà. Nemmeno il verduraio del mercato alla Circonvallazione Ostiense ha voglia di parlare, mentre ritira i due bandieroni giallorossi (in pendant con l’arazzo da 10 metri per 5 steso davanti al banco) perché piove. «Il derby? Nun ciò voja, signò, nun ze ingrugni, me so alzato all’una de stanotte, me lasci lavorà».

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