“Sento che ora è il momento di porre fine alla mia carriera ad alto livello. Voglio ringraziare tutti i miei compagni di squadra, i grandi allenatori che ho avuto e i tifosi che mi hanno sostenuto”.
Dopo l’addio di Sir Alex Ferguson, dopo l’addio alla Nazionale di Rio Ferdinand, un altro ex Red Devils annuncia un addio: David Beckham lascia il calcio giocato, dopo questi ultimi sei mesi parigini, culminati con la vittoria del campionato.
Non solo un grande calciatore, forse sopravvalutato sotto alcuni aspetti, soprattutto tecnici e tattici, ma uno degli uomini con più stile in un mondo in cui spesso si pecca, in cui spesso vincono atteggiamenti sopra le righe, che spesso e volentieri vengono difesi anche dai piani alti del calcio. Mai una parola fuori posto per David, protagonista nel Manchester United di Ferguson, nel Real Madrid dei Galacticos, nei Los Angels Galaxy.
Il suo piede destro lo ha reso unico sui campi da gioco, dove prima si mise in mostra come esterno destro di centrocampo, poi come regista. Lo stile lo ha reso unico nel suo genere: attore e calciatore, uomo immagine, marito di una pop-star.
Ma si sa, la carriera di ogni campione deve avere delle pagine buie, degli episodi controversi: David non è diverso dagli altri. La famosa espulsione rimediata negli ottavi di finale dei Mondiali del 1998, per un fallo su Simeone (che successivamente ammise di aver accentuato molto l’accaduto), le critiche, l’esclusione dalla nazionale. E’ stato il momento buio del campione, che però è riuscito a rialzarsi come solo i grandi sanno fare. Impossibile non citare lo scarpino ‘preso in faccia’ su cross, per così dire, del suo maestro, il solito Sir Alex, adirato con lo Spice Boy per una prestazione decisamente sottotono.
Il suo grande amore è stato proprio il Manchester United. Lui, londinese, tifoso dei diavoli rossi fin da bambino, quando con il papà si recava spesso e volentieri all’Old Trafford, riuscì a veder realizzato il sogno di giocare in prima squadra nel 1992, per poi tornare da titolare nel 1995. E’ riuscito ad indossare la ’10′, ma soprattutto lamaglia numero 7, quella che a Manchester ha un significato particolare, quella che da Best a Cantona hanno indossato tutti i grandi. E se si pensa che a lasciargli quella maglia fu proprio Cantona, quel numero gli regalò una maggiore responsabilità, che non lo ha mai spaventato.
Chiude così, dopo esser stato uno dei giocatori più pagati del pianeta, dopo aver deciso di devolvere in beneficenza l’intero ingaggio che avrebbe dovuto percepire nel PSG, dopo aver vinto il ventunesimo trofeo, dopo aver giocato 728 partite in squadre di club, 115 in Nazionale.
A cura di Luca Fatiga
@LucaFatiga9