(M. Bianchini) – Il nefasto criterio dei due pesi e due misure non è mai piaciuto a nessuno, specialmente se sul piatto della bilancia troviamo il marciume dei “buu” razzisti. Il tema richiama il comportamento dell’arbitro Rocchi giudicato lodevole e opportuno. Bene. Ma nello stesso tempo viene voglia di chiedersi: perché altri suoi colleghi in circostanze ben più gravi, rispetto ai quattro cani sciolti di San Siro giallorossi abusivi, hanno fatto orecchie da mercante?. Nel civilissimo Juventus Stadium, i cori di insulto a Boateng indussero lo speaker ad intervenire, ma non il direttore di gara forse distratto dal fascino del gioco bianconero che non andava disturbato. Stessa sorte hanno avuto in dono pure i rappresentanti della squadra minore della capitale, frequentatori indisturbati dell’Olimpico di Roma, dove fioriscono nefandezze che dovrebbero richiedere non una sospensione, ma l’interruzione a vita. La piaga di premurosi luminari che si sforzano di farla apparire un semplice graffio, in realtà nasconde una cronicità che ad esempio non tardò a riaffiorare, sempre in tema di paragoni più eclatanti, quando al Napoli toccò far visita al regno della “civiltà” piemontese, dove alberga l’impunità a tutti i livelli. Sugli spalti riecheggiarono per quasi tutta la gara cori di scherno che toccarono il massimo del malcostume razzista, quando si udirono chiaramente le parole:“Vesuvio lavali col fuoco”.
Che si voleva di più per fischiare la definitiva sospensione della partita? E qui si arriva al punto dolente che chiama in causa le responsabilità dei custodi della legalità. Qualcuno dovrà pur rispondere perché altri arbitri non abbiano usato lo stesso metro della “mosca bianca” signor Rocchi. L’incolpevole Roma di parte giallorossa è stata messa alla berlina in diretta televisiva carpendole un’immagine distorta che si sa quanto sia difficile rimettere sulla giusta via quando certe scene entrano nelle case. La televisione possiede il magico potere di indurre in tentazione chi usa fare di tutt’erba un fascio. E non sono pochi, specialmente quando c’è di mezzo la Capitale. Gli uomini in giacchetta nera dovrebbero saperlo come prima regola sull’uso discreto del delicatissimo veicolo dell’informazione. Va bene mandare tutti a casa quando una parte dello stadio si veste di inciviltà. Ma la norma sia uguale per tutti, non misurata con due pesi e due misure. Altrimenti sarà la stessa discriminazione ad assumere le sembianze del razzismo. Nei commenti del dopopartita, Boban si è giustamente preoccupato di salvaguardare l’innocenza dei bambini. Ma se in televisione appare una sola faccia del misfatto, e si inzuppa il biscotto solo perché il vino è di colore giallorosso, andrà a finire che godranno del “candore” soltanto i pargoli convinti che certe cose non accadono dalle loro parti. E agli altri bambini cosa lasciamo credere?