(G. Giubilo) – Sulla zattera di salvataggio che la chiusura di stagione rende ancora disponibile, c’è posto perun solo naufrago. Due delle grandi deluse del campionato, per altro in buona compagnia se si guarda all’inatteso tracollo dell’ambiziosa Inter, si giocano nella finale della Coppa Italia l’ultimo passaporto utile per l’Europa minore. A quella vera avevano rinunciato da un pezzo, dopo che i sogni della Roma e il sorprendente girone d’andata della Lazio si erano infranti contro i crudeli responsi del campo. Frutto, da una parte, di errori di gestione, a partire dalla nuova scommessa per la panchina. Se non altro, Luis Enrique si era fatto da parte lasciando qualche rimpianto in quanti avevano apprezzato la sua signorilità e il nobile tentativo di importare almeno un modello di gioco.
Zeman, invece, ha mostrato una meno apprezzabile disposizione a difendere il suo integralismo, facendo a pezzi lo spogliatoio con accuse publiche stupefacenti. Se qualcuno ne avesse sofferto l’allontanamento, forse si sarà ricreduto dopo le ultime esternazioni a offrire sostegno ai più ignobili dei razzisti, indicando Balotelli come unico colpevole. Messaggio chiaro: se qualcuno non ti è simpatico l’insulto di chiara matrice razzista ha una giustificazione. Ecco dunque una Roma costretta a ripartire con il fedelissimo Andreazzoli e una Lazio vessata dai troppi infortuni e da un organico di non illustri dimensioni, anche per colpa degli strani contenziosi che hanno emarginato un paio di difensori di qualità. E così si arriva col fiato corto alla volata per il solo traguardo disponibile, la Roma insegue la sua vittoria numero dieci, la Lazio la sesta, comunque vada stasera la Capitale avrà il privilegio del maggior numero di trofei, raggiungendo quota sedici. Al tifoso interessano poco i nove milioni che la conquista della Tim Cup porterebbe in bilancio, anche perché il mercato esibisce cartellini dei prezzi di ben altro spessore.
Ma, di fronte al possibile fallimento della stagione o di un colpo di coda per il riscatto, questa stracittadina ha creato un clima di tensione che ha rischiato di diventare irrespirabile. Questo, non va dimenticato, è soltanto il terzo derby chiamato ad assegnare il secondo trofeo nazionale. Risale al 1938 quello conquistato dalla Juventus (3-1 e 2-1), al 1977 quello vinto dal Milan di Nereo Rocco, due a zero in gara unica. Stavolta la città vive in fibrillazione la sfida, seguendo con ansia tutte le vicende che infine hanno riportato l’evento alla data programmata, spostando l’orario al tardo pomeriggio nel ricordo dei turpi episodi che avevano segnato il derby più recente. Spronati da appelli illuminati come quelli di Papa Francesco e di Giorgio Napolitano, gli interpreti si sono molto adoperati, in questi giorni, per tentare di creare un clima di serenità e ragionevolezza intorno a quella che rimane una partita di calcio. Ma poiché alla nostra amata città non mancano mai le dolci attese delle mamme degli imbecilli, si sono visti anche messaggi deliranti, di stampo mafioso, indirizzati soprattutto ai giocatori della Roma.
Mentre i tecnici studiano le consuete alchimie tattiche, al tifoso piace pensare che il proscenio sia riservato alle grandi firme, facilmente individuabili: sulla sponda romanista, Francesco Totti, ma anche Lamela e Osvaldo, sempre che parta dal primo minuto, non sembra adatto a subentrare dalla panchina; da parte laziale Candreva il più in palla di tutti, ma la qualità e anche la tradizione fanno risalire le azioni di Klose, che erano precipitate nell’ultimo scorcio di stagione. Mina vagante Hernanes, che sa inventare soluzioni di gran lusso. Nella speranza che tutti i veleni si disperdano nel vento, si può anche sognare uno spettacolo di buona qualità, fosse con qualche coda poco apprezzata, come supplementari e magari rigori. L’Europa, e soprattutto la serenità, siano con tutti voi.