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LA REPUBBLICA La Roma si butta via, il Chievo passa al 90′

Roma-Chievo

(E.Sisti) – Uno zero in condotta assoluto, assurdo forse, ma meritato. E maledettamente triste. La Roma Jekyll e Hyde ha colpito ancora. Di notte. Dall’altra parte fa festa il Chievo che strappa sul filo di lana una vittoria nemmeno cercata. Se il Chievo è ora anche matematicamente salvo, la Roma non si salva più: dalle sue turbe, dalla sua eterna doppia natura, dal suo futuro. Per quaranta minuti riesce a giocare così male che per l’ennesima volta ti domandi se per caso i giocatori, in settimana, non s’incontrino soltanto a pranzo e a cena, non al campo. Alcuni sembrano di passaggio. Sembra che non sapessero che vincendo avrebbero agganciato (almeno per 24 ore) la Fiorentina al quarto posto. Primo tempo all’idrogeno: incolore, inodore, insapore. Il Chievo è chiuso come il caveau di una banca la domenica pomeriggio. La Roma è la classica Roma che dovendo far gioco mostra i limiti delle sua capacità di applicazione tattica. Un motivo c’è: non ha tattica, ha solo Totti.

Dei primi 45 minuti, allucinanti, si ricordano Osvaldo (un sosia di quello vero) che calcia a colpo sicuro da cinque metri: sicuro di colpire Puggioni (34′), si ricordano De Rossi e Pjanic ai minimi storici. Per scuotere il bosniaco occorre che Cofie gli assesti un involontario pugno in faccia che lo fa sanguinare come un pugile (38′). Si ricorda infine una bastonata di Totti su punizione in pieno recupero. Negli spogliatoi della Roma qualcuno deve aver ricordato al gruppo che quelle persone in tribuna hanno pagato il biglietto. I giallorossi tornano apparentemente più motivati. Destro calcia su Puggioni (4′). Un tiro deviato di Totti rimbalza sulla traversa (8′). Dal corner Puggioni fa un miracolo su Burdisso (9′). Pure Dodò, nella ritrovata eccitazione collettiva, servito da Destro, rischia di segnare (21′): Dodò è uno di quei tipi veloci solo quando non serve esserlo e soprattutto non sa difendere la palla: perfetta allegoria di questa squadra. La Roma, nonostante siano entrati Lamela e Florenzi, lentamente scolorisce e torna idrogeno in pochi minuti. I suoi attacchi non pungono, non offendono, non producono che altri fischi (il tiro sbilenco di Florenzi al 43′). Sbracata in difesa, al 90′ Thereau le cucina la frittata, gialla come la sua maglietta. I festeggiamenti del 30ennale dello scudetto del 1983, prima della partita, non erano stati di buon auspicio, né ben congegnati. Erano appena cinque i calciatori di quella gloriosa stagione a sfilare sotto gli spalti. Essendo così pochi, Superchi, Chierico, Nela, Righetti e Faccini, più che protagonisti parevano dei superstiti. E il minuto di silenzio per la morte di Giulio Andreotti, pur di provata fede romanista, s’era risolto in un carnevale di urla, balletti, fischi e botti. Degni inizi di un finale no comment.

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