(L’Unità – F. Tomei) – I trogloditi ululanti da stadio si mettano l’anima in pace: insultare un calciatore per il suo colore della pelle aderisce al termine “razzismo”. La goliardia, l’arte di infastidire, l’ironia pungente, sono altro.
La premessa è d’obbligo, all’indomani della prima interruzione di una gara di serie A per episodi discriminatori.
Protagonista, suo malgrado, il “negro italiano” Mario Balotelli, subissato di ululati da una parte del settore ospiti occupato dai tifosi della Roma.
L’arbitro Gianluca Rocchi di Firenze ha sospeso la gara tra i giallorossi e il Milan per un paio di minuti, giusto il tempo per far strozzare in gola ai soliti idioti il becero singulto razzista.
I suddetti tifosi della Roma (ma le generalizzazioni sono totalmente da rifuggire) sono solo gli ultimi di una lunga serie ad aver inscenato il più classico ed umiliante degli insulti, trovandosi in buona compagnia con quelli di Juventus, Lazio, Inter, Verona, eccetera.
Una mole impressionate di ignoranti, quella che affolla troppo spesso i nostri stadi, che trova buon gioco nell’atteggiamento passivo della FIGC e di gran parte della stampa, spesso sdegnate ma mai veramente in grado di contrastare il fenomeno.
In Europa, ad esempio, il pugno duro dell’Uefa ha costretto la Lazio a giocare due partite senza tifosi, a causa degli sciagurati improperi di poche decine di sostenitori, mentre l’Inter ha rimediato una diffida per gli ululati indirizzati al togolese Adebayor del Tottenham.
In Italia, come detto, tutto tace: qualche leggera multa, un poco convinta condanna nascosta tra le righe di un articolo, l’assoluta incapacità di arginare un fenomeno grave e longevo.
Un fenomeno che assume connotati ancora più importanti e formativi, se inserito nel contesto politico italiano, alle prese con la discussione sullo “Ius soli” (il diritto di cittadinanza per i nati sul suolo italiano, un passo ampio per la nostra rallentata Repubblica ma sicuramente necessario e vitale, ndr) e con i beceri insulti leghisti al Ministro Kyenge. Limitare questo discorso al mondo del calcio sembra riduttivo, ed effettivamente è così, ma lo stadio rischia di essere un piccolo specchio di quello che la società nostrana sta riuscendo nell’impresa di mostrare in questi ultimi anni.
Tornando al più recente episodio, il caso di Mario Balotelli è quasi comico.
“E’ un provocatore”, lo stucchevole ritornello è tornato ad echeggiare nell’etere romano e a scorrere da alcune penne poco nobili, come a dire: “che colpa ha quel gruppo di ragazzi se Balotelli è negro”, dopo che il fratello del Presidente rossonero (Paolo Berlusconi), lo aveva apostrofato come “il negretto di famiglia”.
Ecco quindi che un dito indice portato davanti alla bocca, per zittire gli ululati avversari, diventa un guanto di sfida gettato in faccia all’avversario, una linguaccia l’imperdonabile sgarbo fatto sull’altare della liturgia domenicale.
Non citerò le fonti avvelenate, per il momento, sperando nell’immediato ravvedimento di colleghi più attenti a difendere la propria squadra del cuore piuttosto che ad additare lo squallido e antistorico comportamento di alcuni tifosi.
Ogni medaglia ha però due facce e così il razzismo d’accatto fa da contraltare all’antirazzismo a targhe alterne, usato solo come pretesto invece che come pietra miliare di una necessaria battaglia.
Gli stessi giocatori del Milan che nella gara contro la Roma hanno serenamente atteso la ripersa delle ostilità, non più tardi di 4 mesi fa avevano giustamente deciso di abbandonare il campo della Pro Patria, dopo che i tifosi avversari avevano lapidato K.P. Boateng a suon di “uh uh uh”.
La dignità della persona vale forse di più durante un’amichevole?
Quale miglior spot antirazzista del lasciare il campo di San Siro vuoto, in occasione di un big match come Milan – Roma?
Polvere nascosta sotto il tappeto, ancora una volta.
Qualche capro espiatorio viene gettato di sovente in pasto alla pubblica opinione, come se il razzismo fosse un’infamia da appiccicare addosso a una o a poche tifoserie, ma la maggior parte dell’orrendo fenomeno viene tenuta nascosta.
Un movimento calcistico come quello italiano, che non permette ai tifosi di portare striscioni sulle tribune ma che volta semplicemente le spalle a chi insulta un’altra persona per il proprio colore della pelle, è un movimento
calcistico che merita il ruolo di basso rilievo attualmente ricoperto.
Se a sostenerlo ci pensa poi una stampa dedita agli interessi di parte e al portare avanti la propria cieca fede calcistica, alzo la mano e mi faccio avanti: come Balotelli sono anche io un provocatore.
Meno scuro, meno alto, meno muscoloso.
Di certo ugualmente schifato ed incazzato.
Col mio dito ben dritto davanti alla bocca.