Vidi una volta, al Camp Nou di Barcellona, una classe scolastica, guidata da un paio di maestre, entrare allo stadio per assistere ad una gara di Champions League. Una sorta di gita-premio, credo. Sono sicuro che fossero maestre perché i ragazzini potevano avere dieci anni al massimo.
Sono passati diversi anni ma la scena mi è tornata in mente quando ieri ho sentito parlare di “orario migliore” a proposito delle 18 per il derby di Coppa Italia e di “prova del nove” per la città che rischia di pagare un prezzo altissimo se le cose dovessero andar male a proposito di ordine pubblico.
Con tutta la stima, a mio avviso meritata, che si può avere per il neo-presidente del C.O.N.I. Giovanni Malagò non dovrebbe esistere un orario definibile a priori “migliore” per un evento calcistico, a meno che la definizione non riguardi la possibilità per tutti i tifosi di godere dello spettacolo nella maniera più confortevole possibile, sia per chi si aggiudicherà i biglietti per assistervi dal vivo che per tutti gli altri che avrebbero diritto, se non altro in virtù dell’abbonamento Rai che pagano ogni anno, di poter vedere la partita dopo aver avuto il tempo di rincasare dopo le uscite domenicali. In questo senso le 18 non sono l’orario migliore, sono solo l’orario che fa comodo a quelle autorità che hanno paura di questo derby; le stesse che sotto sotto speravano che l’Inter ribaltasse il risultato nella semifinale di ritorno per evitare Roma-Lazio in finale. Mi si potrebbe rispondere che in occasione dell’ultima stracittadina di campionato la zona attorno all’Olimpico è stata funestata da incidenti, scontri e danneggiamenti vari. Rispondo immediatamente che quella è l’eccezione che soltanto da noi sta assurgendo sempre di più a regola, per colpa di quelle stesse autorità che brillano per allarmismo e divieti, per restringimenti alle libertà di chi vorrebbe solo godersi la propria passione in maniera autonoma e che sempre più spesso non riescono a contenere le intemperanze di una quota fisiologica di idioti. Quella quota fisiologica che esiste in ogni nazione ma che solo da noi, quando c’è di mezzo uno stadio, riesce a dettare legge. Mi riferisco soprattutto allo stadio e alle zone limitrofe. Detta ancor più cinicamente, ci sono metropoli come Londra o Berlino dove la sacca di disagio urbano è magari anche più consistente della nostra e anche lì il calcio funge da sfogatoio sociale. La differenza sta nel diverso modo di tutelare e garantire la maggioranza di appassionati civili, in quanto il diritto di chi paga viene prima di ogni altro. In altre nazioni europee occidentali nessuno scontro tra fazioni di delinquenti (da non confondere mai con il termine ultras, come sbagliando fanno i nostri media nazionali) e vi assicuro che se ne verificano sistematicamente, mette mai a rischio la possibilità di una famiglia di recarsi allo stadio con indosso la maglia o la sciarpa del proprio club.
Chiudo con un amaro interrogativo tristemente retorico: in quale altra capitale civile un sindaco avrebbe detto che la finale della coppa nazionale non si può giocare nel giorno delle elezioni comunali?
Paolo Marcacci