Con un inesauribile, ingenuo romanticismo, si pensava che la celebrazione del trentennale del secondo scudetto avrebbe ieri sera infuso alla Roma una motivazione in più, un orgoglio supplementare da profondere contro il Chievo. Si potrebbe obiettare che per battere in casa una squadra come quella allenata da Corini non ci sarebbe neppure bisogno delle motivazioni supplementari ma vorrebbe dire che non si conosce la storia recente della Roma.
In un certo senso è anche giusto che la squadra di ieri sera non abbia tratto alcuna adrenalina supplementare dal trentesimo compleanno dell’alloro colto da quella allenata da Liedholm e diretta da Falcao. C’è da chiedere scusa per il solo accostamento, in verità.
Quella Roma che fece esplodere la gioia in una città assetata di emozioni era una squadra capace di rialzare la testa a sette giorni dalla sconfitta interna contro la diretta rivale, una delle Juventus più forti del dopoguerra. La vittoria di Pisa, le molteplici anime dei tanti leader, la personalità che veniva fuori nei frangenti più complessi di un campionato durissimo…Parliamo non di due squadre ma forse di due sport diversi o, quantomeno, di due modi totalmente differenti di intendere lo stesso sport.
Sbagliamo anche noi a fare i paragoni però, al tempo stesso, l’orgoglio ferito del tifoso e la mancanza di amor proprio evidenziata dalla squadra ci fa essere impietosi, perché esasperati, nell’istituire un confronto che evidenzia ciò che corrisponde alla nostra passione e ciò che invece i tifosi giallorossi non meritano. Falcao e compagni, oltre ad essere fortissimi, erano guidati da una forte convinzione e da uno spirito di gruppo granitico, anche se nontutti amavano poi andare a cena coi compagni di squadra, anzi…Ora magari è più probabile che si vada a cena assieme invece che aiutarsi sul terreno di gico. Altrimenti non si spiega perché quando qualcuno perde palla rimane piantato nel punto in cui l’ha persa invece di dannarsi l’anima per rincorrere. La gara col Chievo l’avete vista tutti. Si vince a Firenze, con una buona dose fortuna e poi si dilapida tutto in un match casalingo che dovrebbe offrire solo il pretesto per gli applausi, oltre ai tre punti scontati.
Ecco perché se parlate della Roma dell”82-83′ è meglio non fare confronto alcuno; bisogna solo godersi il ricordo, le sue sfumature più intime e quello che per noi ha rappresentato e rappresenta. In quanto alla Roma del presente, diciamo solo che a qualche nostro amico calciatore faremmo vedere qualche filmato dell’epoca, per capire quali erano le reazioni, quanta la concentrazione, quali le motivazioni e quanto nobile il rapporto con i tifosi. Altrimenti non saremmo qui oggi a magnificare il ricordo ben trenta anni dopo e con in mezzo un altro scudetto.
Paolo Marcacci