(R. Cotroneo) – Si marcia immersi nell’umidità amazzonica di Manaus, nell’inverno imminente di Porto Alegre, a fianco del traffico infernale di San Paolo. Al sole e sotto la pioggia. Uno degli slogan dei ragazzi brasiliani in rivolta è particolarmente azzeccato: «Il gigante si è svegliato». Perché il Brasile è talmente grande e variegato che tutto questo sembrava impossibile appena pochi giorni fa: e cioè che si estendesse in ogni angolo del Paese un movimento locale come quello contro l’aumento delle tariffe a San Paolo. Ieri ci sono state manifestazioni in ben ottanta città grandi e piccole, e in quasi tutte le capitali degli Stati della federazione. Almeno un milione di persone hanno partecipato, convocate attraverso i social network, e quasi sempre in maniera pacifica.Ancora una volta, però, non è stato possibile evitare atti di teppismo e scontri con la polizia. Nella serata di mercoledì, sindaci e governatori delle due maggiori città del Paese, San Paolo e Rio de Janeiro, si sono messi d’accordo per annunciare simultaneamente il ritiro degli aumenti.
Da quel momento è stato un effetto a catena, perché altre decine di città hanno preso la stessa decisione. La situazione è particolarmente caotica negli hinterland delle grandi aree metropolitane, dove vivono milioni di persone costrette a ore e ore di autobus e treni ogni giorno per andare a lavorare. Con la qualità del servizio sempre scadente, oltre ai prezzi elevati. Per adesso il movimento delle piazze, fedele all’altro slogan forte («Non siamo qui per pochi centesimi»), non si è fatto impressionare dalla vittoria sulle tariffe, confermando tutte le manifestazioni. La consegna è sempre la stessa: niente bandiere di partito, tutti a cantare l’inno nazionale e ognuno si vesta come gli pare, chiedendo quel che vuole.
La guida della protesta resta comunque il movimento paulista«Passe Livre », cioè tariffe zero suimezzi pubblici. Oltre ai trasporti, i temi forti restano la corruzione, la spesa pubblica (quindi anche quella per i grandi eventi sportivi), la situazione critica di scuole e ospedali pubblici. La rivolta ha già toccato la popolarità della presidente Dilma Rousseff, il cui indice di approvazione ha perso otto punti in una settimana. Pur restando abbastanza alto (il 55 per cento ancora approva), c’è sicuramente lo zampino del governo centrale nella raffica di diminuzioni delle tariffe, anche perché i fondi che verranno a mancare alle città dovranno essere rimpinguati dal centro. Archiviata la Confederations Cup, il Brasile si troverà a poco più di un anno dalle elezioni presidenziali. L’effetto degli eventi di questi giorni è tutto da scoprire, ma certamente la Rousseff (che si ripresenterà) l’avrebbe evitato volentieri. Non ci sono segnali nemmeno che la protesta beneficerà l’opposizione di centrodestra, mentre è atteso il ritorno sulla scena politica nazionale diMarina Silva, ex ministro dell’Ambiente. Sulla sua figura il malcontento potrebbe invece canalizzarsi.