(M.Cecchini) – Se si arrivasse ad una sintesi fra parole e sguardi, si potrebbe dire che la Roma è la sua malattia e la Nazionale ciò che la cura. Ma Daniele De Rossi è più complicato di così, perciò tutto va filtrato attraverso ragione e sentimento. Perché in ballo c’è il suo futuro, col Chelsea (e non solo) pronto a bussare alla sua porta.
RENDIMENTI DIVERSI «Sono due mesi che convivo con un problema alla caviglia destra. Giocarci sopra non mi aveva aiutato, ma l’ho fatto lo stesso. Ringrazio i medici della Nazionale che mi hanno curato, dandomi la possibilità di giocare al Maracana. Nonostante abbia quasi 90 partite in Nazionale ero un po’ emozionato. Ne parlavo con gli amici di Roma, quelli con cui ho iniziato: erano tutti affascinati da questo stadio, anche se dentro sembra europeo. Poi però l’emozione è passata e abbiamo fatto bene. l’Italia nei momenti importanti c’è sempre e possiamo arrivare fino in fondo. Il mio rendimento? Io affronto le partite alla stessa maniera sia alla Roma sia in Nazionale e ho sempre respinto le dicerie che in azzurro giochi molto bene e nella Roma molto meno bene. Poi però sono un ragazzo onesto e devo fare una valutazione. Nell’Italia alcune volte sono stato il migliore in campo, spesso ho giocato molto più che molto bene. Se invece a Roma faccio una partita buona e una meno buona, allora un fondo di verità ci deve essere ed è anche giusto rendersene conto. Non so se sia una cosa ambientale, una questione di testa o una cosa mia personale. Qui al Maracana ti guarda tutto il mondo e quindi la pressione dovrebbe essere maggiore, invece nella Roma trovo una pressione diversa, meno mondiale, ma più passionale, e questo a volte rischia di confondermi».
GARCIA COME LUIS «Seguo la Roma con grande attenzione. Non ho sentito nessuno della dirigenza, ma sono contento che la telenovela dell’allenatore sia finita. Garcia è bravo, non importa che non sia stato la prima scelta. Come impatto mi ricorda Luis Enrique, che per me era il numero uno. Ha fatto bene dove è stato, portando in alto una squadra piccola. Poi leggo nomi di mercato che mi sembrano interessanti, mi pare si vada nel verso giusto».
ROMA & CALUNNIE A farlo soffrire, però, c’è qualcosa di più dei fallimenti sportivi. «Più che la mancanza delle coppe, sono altre le cose che mi danno fastidio della situazione romana. Bisogna sempre negare accuse folli o le dicerie più becere, è questa è una cosa grave. Quando vengo in Nazionale sono considerato, non dico una stella, ma un giocatore importante, mentre a Roma devo stare attento a come mi muovo o a quello che dico. Su di me girano calunnie vergognose, e chi calunnia per me è peggio di chi fa la spia. A Roma si vive anche di calunnie, uno lo sa, sa da dove vengono e impara a conviverci. Ma non dico che questo influisca sul rendimento: se gioco male è per colpa mia e se gioco bene è per merito mio. Ma bisogna essere lucidi nel giudicare, perché qualche volta è capitato che ho giocato bene e nessuno se n’è accorto». Il saluto è con una domanda d’obbligo: resti alla Roma? Lui ci sorride e se ne va. E in questa uscita di scena è lecito leggere tutti i futuri possibili.