(V.Meta) – Più che Pep Guardiola, in Spagna era Marcelo Bielsa a essere considerato il vero anti Mourinho. Non per le ragioni storico-sociali che oppongono Barcellona e Real Madrid, quanto perché in fondo il portoghese e l’argentino hanno in comune molto più di quanto sembri dall’esterno: la coerenza.
Non si sono mai spacciati per quello che non sono, hanno sempre parlato chiaramente assumendosi in toto le responsabilità delle proprie scelte, che sono state appunto sempre e soltanto le loro. Che poi Mourinho se la cavi meglio con i media e Bielsa preferisca tenere le questioni all’interno dello spogliatorio, è un tratto secondario.
Allenatore dei due mondi, Marcelo Bielsa, nato a Rosario come Lionel Messi, difensore roccioso che lascia il calcio giocato nel 1980, a soli venticinque anni. Comincia dalle giovanili dell’Old Boys, dove trova, insieme ad Abel Balbo e Nestor Sensini, pure un certo Gabriel Omar Batistuta. Nel ’90 gli danno la prima squadra ed è subito titolo argentino, mentre la stagione successiva arrivano il Clausura e la finale di Libertadores persa contro il San Paolo di Cafu. Tre stagioni in Messico fra Atlas e Amé- rica, nel ’97 il ritorno in Argentina per guidare il Velez, dove resta un solo anno perché nel ’98 varca l’Atlantico per accettare la panchina dell’Espanyol, non fosse che dopo pochi mesi gli arriva l’offerta che non si può rifiutare: la nazionale argentina, dove succede a Daniel Passarella. I Mondiali 2002 sono un disastro (fuori al primo turno, eliminato da Svezia e Inghilterra, che si prende la rivincita di quattro anni prima), ma la federazione gli concede una seconda possibilità e nel 2004 arrivano una finale di Coppa America e l’oro olimpico ad Atene con l’Under 21.
Successi che non bastano a fargli cambiare idea sulle dimissioni, rassegnate alla fine dell’estate. Tre stagioni senza panchina, nel 2007 il rientro alla guida del Cile, portato brillantemente ai Mondiali in Sudafrica grazie al secondo posto nel girone sudamericano, chiuso con appena un punto in meno del Brasile, la squadra che avrebbe poi eliminato i cileni negli ottavi. A fine Mondiale gli rinnovano il contratto fino al 2015, ma con un’opzione di svincolo fissata al 2011 e puntualmente esercitata in seguito alle elezioni federali cilene. Nell’estate 2011, tredici anni dopo la brevissima parentesi catalana, riattraversa l’Atlantico per sedersi sulla panchina dei baschi dell’Athletic Bilbao, che guida alla finale di Coppa del Re e a quella di Europa League, dopo aver eliminato avversarie del calibro di Paris Saint-Germain, Manchester United e Schalke 04. Le perderà entrambe (la prima contro l’ultimo Barcellona di Guardiola, l’altra con l’Atletico Madrid di Radamel Falcao), ma, scrive in quei giorni El Pais, Bielsa “riesce a essere un punto di riferimento anche e soprattutto quando perde”.
Lo chiamano “El Loco” per quel suo carattere che prende fuoco facilmente e per i modi diretti (se ha qualcosa da dire a un giocatore, non è tipo da andare tanto per il sottile), eppure dalle sue squadre è stato sempre stimato, mentre i tifosi hanno visto in lui un monumento alla coerenza. Potrà anche aver lasciato agli altri qualche trofeo (c’è anche da dire che ha perso sempre contro squadre oggettivamente più forti della sua), ma il gioco no, quello è sempre stato una sua prerogativa. Gli piace il pressing alto, è uno che ama giocare aggressivo, anche per questo si dice che i suoi allenamenti siano durissimi. A Sabatini piace per i modi spicci, forse perché gli ricordano i suoi, e forse prorio la sua estrema coerenza potrebbe essere l’ingrediente segreto per venire a capo di una panchina che sembra stregata.