(F. Bovaio) – Nel caso in cui fosse davveroRoberto Mancini il prossimo allenatore della Roma avremmo sulla panchina giallorossa un ex tecnico della Lazio dopo molti anni. Senza contare Zdenek Zeman, ovviamente, che pure l’anno scorso guidò i Lupi e il cui passato da laziale era stato già ampiamente cancellato nella sua precedente esperienza romanista (1997-1999). In quelle stagioni, infatti, si era integrato così perfettamente con il nostro ambiente al punto di far dimenticare a tutti che nella Capitale era stato portato proprio da quelli dell’altra sponda del Tevere.
Prima di lui, l’ultimo allenatore della Lazio che in seguito a quel periodo sfortunato della sua vita ebbe la fortuna di sedersi sulla panchina della Roma era stato Roberto Clagluna, ingaggiato da Dino Viola nell’estate dell’84 proprio con la qualifica di “allenatore della squadra” per consentire l’arrivo dellosvedese Sven Goran Eriksson, al quale venne data la qualifica di Direttore Tecnico. A quei tempi, infatti, il regolamento vietava l’ingaggio di allenatori stranieri e Viola, al pari del presidente dell’Ascoli Costantino Rozzi, a quei tempi presenza fissa in serie A, fece di tutto per far cambiare questa norma così assurda e antistorica. Alla fine gli dettero ragione, ma non in quei tempi ancora così legati da lacci e lacciuoli e con questo escamotage all’italiana lui riuscì ad ingaggiare Eriksson e Rozzi fece lo stesso con Boskov. Clagluna, per chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo o di vederlo sul campo, era un vero e proprio signore d’altri tempi. Educato, garbato, molto preparato e probabilmente proprio per questo mai avversato dai tifosi giallorossi per il suo passato biancoceleste, trascorso, tra l’altro, soprattutto in serie B. Alla Roma restò solo nella stagione 1984-85, nella quali fece da vero istruttore del campionato italiano ad Eriksson, che nelle due successive si vide affiancato da Sormani.
Dopo di lui nessun altro ex allenatore della Lazio si è mai più seduto sulla panchina giallorossa, mentre spesso è accaduto il contrario, a cominciare proprio dal “professorino” svedese, che in biancoceleste ebbe come seconda un altro ex romanista (ma da calciatore, non da tecnico) come Luciano Spinosi. Quest’ultimo aveva vestito la maglia giallorossa negli anni sessanta (quando la sua cessione alla Juve insieme a Capello e Landini fece scendere in piazza i tifosi contro il presidente Marchini) e tra la fine dei settanta e l’inizio degli ottanta. Un passato importante, rafforzato dai tanti anni trascorsi da allenatore della Primavera giallorossa, con quattro partite alla guida della prima squadra nel 1988- 89 al posto di Liedholm, che agli occhi dei tifosi rinnegò con tutte quelle esultanze smodate alle quali dette vita quando sedeva sulla panchina biancoceleste insieme ad Eriksson.
Prima di loro, in questo percorso dal giallorosso al biancoceleste, c’era statoTommaso Maestrelli, un altro signore del nostro calcio, che nella Roma aveva giocato dal 1948 al 1951 indossandone anche la fascia di capitano e che approdò alla Lazio in qualità di allenatore nel 1971. Fu lui l’artefice del primo scudetto laziale, così come Eriksson vinse il secondo, proprio a dimostrare che loro non vincono cose importanti senza l’aiuto di chi è stato romanista. Checché ne dica Lotito, al quale diciamo che ricorderemo tutte le sue parole di questi giorni quando le alterne vicende della vita avranno ristabilito il corretto ordine delle cose nella nostra città. Parole che grandi del passato come ad esempio Fulvio Bernardini non si sarebbero mai sognati di pronunciare. Anche lui, già stella della Roma di Testaccio, divenne poi allenatore della Lazio portandola a vincere una Coppa Italia. Tanto per ribadire quanto abbiamo scritto sopra. Sulla panchina biancoceleste, invece, non vinse nulla l’inglese Jesse Carver, allenatore della Roma nella stagione 1953- 54 (in cui subentrò a Varglien) e della Lazio in quella seguente. Al contrario l’argentino Juan Carlos Lorenzo, che dopo aver guidato i biancocelesti passò alla Roma nel 1964-65 vincendo subito la Coppa Italia. Superstizioso all’inverosimile, dopo quella prima, doppia, esperienza tornò in seguito nella Capitale per guidare di nuovo i biancocelesti, ma senza grandi risultati.