Nuovo appuntamento con la rubrica firmata Gazzetta Giallorossa. Questa volta dedichiamo la nostra attenzione alle elucubrazioni più o meno indovinate da parte dei “nostri” dirigenti, spesso in difficoltà nel gestire le situazioni come la Roma sul campo. L’obiettivo è rivolto alle parole rilasciate dal Presidente James Pallotta al principale giornale economico del Regno Unito, il Financial Times.
“E’ stato un anno frustrante. Sono decisamente insoddisfatto. Abbiamo sconfitto tutti i migliori team: la Juventus, abbiamo distrutto il Milan, la Fiorentina e battuto tre volte l’Inter. Ma è assurdo il modo in cui abbiamo giocato contro le squadre dalla metà in giù. Abbiamo molti nuovi giocatori. Ci vorrà tempo“.
Da queste prime parole si evince un pesante ossimoro, difficile da digerire soprattutto nella grigia attualità che si è andata configurando negli ultimi 24 mesi. Se la stagione è stata frustante (ed è dir poco) non si può chiedere ancora tempo, anzi sarebbe il caso di fare qualche proclamo opposto, tendente ad un’accelerazione del famoso “progetto” pluriennale. I giocatori sono sempre nuovi, ma questo non lo ha prescritto il dottore, è frutto solo di una miope gestione del mercato, indirizzata all’ennesima rifondazione insensata.
“Stiamo facendo di Roma un brand. Le squadre di calcio in Italia sono scambiate sulla base di ricavi e un certo ammontare di ego. Noi non lo abbiamo fatto per l’ego. Il Manchester United vale circa 3,9 miliardi di dollari e la Roma è valutata meno di 200 milioni di dollari, quindi ci sono tante opportunità per colmare quel divario. La mia ipotesi è che ci sia un sacco di gente cui piacerebbe avere la Roma“.
Qui nasce il grande equivoco, causa della maggior parte dei problemi giallorossi. La Roma non sta diventando una grande squadra ma un grande brand. Sviluppare il marketing e le vendite non consentirà mai al club di diventare forte come il Manchester United, semmai più appetibile ad una futura vendita (reale obiettivo societario). Da che mondo e mondo, tranne rarissime eccezioni (Bayern Monaco), business non fa rima con successi nel mondo del calcio. Tanto è vero che i principali club inglesi e spagnoli, per non parlare degli italiani, hanno un rosso talmente profondo che sommato rasenta il debito pubblico di uno stato del terzo mondo.
“Le squadre di calcio dovrebbero essere gestite come un business, non come un hobby. Stiamo cercando di portare molte professionalità al club usando le migliori esperienze dei team sportivi americani, che su questo fronte battono tutti”.
Se le grandi professionalità possono essere state contattate per la crescita economica del club, di certo lo stesso non si può dire per quanto concerne la gestione sportiva, visto che dopo l’addio di Baldini tutto ruota attorno alle figure di Zanzi e Sabatini, entrambi inadeguati a ricoprire ruoli fondamentali per il raggiungimento dei successi sul campo. Una grande personalità dovrebbe essere presa come direttore generale, di gran lunga più importante di un responsabile marketing. Poi in chiusura la ciliegina…
“Prima del nostro arrivo non c’era social media. Zero. Il precedente padrone non ha fatto nulla, figuriamoci Facebook o Twitter. Non c’era alcun sistema di gestione dei fan”.
Cosa più sbagliata non poteva esserci al giorno d’oggi se non creare un paragone con la precedente gestione. Fatta salva l’in genuinità di Pallotta, lascia perplessi la lungimiranza dei consiglieri che almeno dovrebbero conoscere la realtà romana. Fin troppo facile ricordare come in passato i fans non avevano un’accurata gestione ma potevano festeggiare qualche coppa o arrivare spesso ad un passo dal tricolore. Soprattutto vien da sorridere nel pensare che al momento è più decoroso ottenere un piazzamento nella classifica dei social che nella graduatoria sportiva. Il calcio non è il baseball, Roma non è l’America, sveglia!
A cura di Rocky & Apollo