(M.Pinci) Addio: Franco Baldini, immagine di copertina della Roma americana, se ne va. Dopo quattro mesi senza tecnico, anche la mente del nuovo corso americano lascia: il progetto frana, la “rivoluzione culturale” declamata due estati fa dai nuovi proprietari implode in poche righe, giusto qualche parola di circostanza: «Voglio ringraziare la proprietà per l’opportunità che mi è stata data. Sono stato benissimo a Roma e auguro il meglio per il club». Questo il testo del divorzio formale firmato dal direttore generale con il club. Che, ringraziandolo, lo liquida come chi «ha avuto un ruolo importante nel lancio del nostro progetto». In realtà nei 595 giorni di passione capitolina, Baldini era stato qualcosa di più. La società di Pallotta, già orfana di un allenatore che manca formalmente da dieci giorni e sostanzialmente da centoventi, si priva dell’uomo che ne aveva curato la gestazione, anche ideologica, se è lecito dirlo.
L’addio nel pomeriggio di ieri a Trigoria, dopo aver firmato il contratto di cessione di Stekelenurg al Fulham, con il management al completo o quasi: lacrime di tutti, a cominciare dal direttore generale, poi una cena con Sabatini per quello che è a tutti gli effetti il passaggio di consegne tra chi ha guidato la Roma e chi la guiderà. Un altro addio rumoroso alla Roma dopo quello del 2005 — altra proprietà, altri motivi — certamente diverso ma ugualmente dirompente: la decisione l’aveva presa da tempo il dg, comunicandola anche al presidente Pallotta. Ieri la scelta definitiva dopo aver firmato la cessione di Stekelenburg al Fulham. Più di qualcuno assicura che la rottura sia arrivata dopo l’ennesima discussione con l’ad americano Zanzi. Già, perché più che i risultati di un biennio disastroso, senza centrare l’Europa a fronte dei 118 milioni spesi sul mercato e con l’umiliazione della coppa Italia persa contro la Lazio, a spingerlo al divorzio soprattutto la rottura, insanabile, con chi rappresenta Pallotta in Italia: Zanzi oggi, Mark Pannes un anno fa. «La proprietà statunitense? Fin troppo presente », aveva detto Baldini solo poche ore fa. Una sorta di testamento: al presidente lontano aveva chiesto più poteri, la possibilità di decidere per la Roma, dopo aver dovuto assistere al licenziamento dei suoi uomini di fiducia, dalla comunicazione allo spogliatoio. Ha perso la battaglia, ha preferito salutare e magari tornare a Londra, al Tottenham, dove potrebbero annunciarlo già tra poche settimane. Rinunciando, anche, ai 2 milioni di euro lordi che il suo contratto sarebbe costato al club per i prossimi due anni.
La Roma non lo sostituirà: toccherà a Sabatini dare alla Roma un allenatore. E sarà «un personaggio scelto dal direttore sportivo», assicurano: come Bielsa, che secondo alcune voci avrebbe incontrato ieri per trovare l’accordo. O come il francese Garcia, mentre si defila Blanc e resta alla finestra Mancini. La proprietà statunitense non metterà bocca nelle scelte, semmai stabilirà i parametri economici, quelli che sconsigliano la soluzione del tecnico di Jesi: servirebbero oltre 4 milioni più l’ingaggio di uno staff che costa come una squadra intera, ben oltre le possibilità dei giallorossi.
La soluzione Mancini, però, è sponsorizzata da Unicredit, co-proprietaria del club al 40 per cento, che spinge per un nome di richiamo per i tifosi e di garanzia per un progetto. E al tecnico, che fino a ieri non aveva ricevuto chiamate da Roma, non dispiacerebbe l’idea di allenare Totti e Lamela, Pjanic e Marquinhos. Nel weekend, massimo lunedì, Sabatini romperà gli indugi: la decisione, adesso, spetta soltanto a lui.