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CORRIERE DELLA SERA C’è la crisi? Tieniti l’allenatore

Massimiliano Allegri

(A. Costa) – Il trucco c’è ma non si vede. Abbiamo passato il tempo a dire peste e corna del nostro calcio e soprattutto dei suoi dirigenti: litigiosi (basta contare i piatti in faccia che si stanno tirando Agnelli e Lotito per la finale della Supercoppa di Lega), miopi (senza un’idea sparata che non sia quella di fare cassa), presuntuosi (ciascuno di loro è convinto di essere il più furbo di tutti). E invece adesso, almeno a dare un occhiata alle panchine della nuova serie A che di fatto ha già acceso i motori visto che domani si radunano in metà di mille, Inter e Milan in testa, a colpire è un dato sorprendente: rispetto alla conclusione della stagione scorsa sono infatti soltanto 5 (su 20) i club che hanno cambiato l’allenatore.

Il Chievo si è congedato da Corini, che chiedeva un contratto pluriennale, per ingaggiare Sannino, miracolosamente sopravvissuto allo schizofrenico tourbillon palermitano di Zamparini (Sannino, Gasperini, Malesani, Sannino); il Genoa, una sorta di Palermo in miniatura (Di Canio, Del Neri e Ballardini gli affittuari della panchina rossoblù lo scorso campionato) ha puntato su Fabio Liverani, anni 37, un debuttante assoluto; l’Inter ha mollato l’inesperienza di Stramaccioni, stessa età di Liverani, per sposare l’integralismo di Mazzarri; il Napoli ha scelto Benitez per sferrare l’attacco alla Juve dopo le stagioni dei gol di Cavani e degli integralismi di Mazzarri di cui alla voce Inter; la Roma è arrivata con un certo ritardo al francese Garcia causa le promesse a vuoto di un altro tecnico di primaria importanza. Il resto, tutti gli altri (il 75 per cento del totale), è stato confermato in pompa magna. Il dato è significativo in quanto in controtendenza: un anno fa le panchine confermate erano state il 60 per cento, due anni fa il 45 per cento, nel 2010-2011 il 40 per cento.

Questo quindi che cosa significa? Che il nostro calcio è diventato improvvisamente virtuoso e che i nostri dirigenti hanno deciso di imboccare la strada a suo tempo intrapresa da sir Alex Ferguson a Manchester? Al tempo, compagni: come si diceva all’inizio, il trucco c’è ma non si vede. In realtà, scarseggiando la grana, non è tanto una questione di lungimirante programmazione, quanto di inevitabile presa d’atto: senza soldi ci si arrangia e si punta sull’allenatore. In altri tempi, quando le vacche erano più grasse, il turnover sarebbe risultato certamente più selvaggio. Ora in serie A sbarcano due deb (il già citato Liverani e Nicola del Livorno) e, per forza di cose, viene confermata la linea verde con 9 under 50 (Garcia, Pioli, Allegri, Conte, Di Francesco, Nicola, Montella, Lopez e Liverani). Insomma, si configura una certa stabilità che la retrocessione in serie B di Zamparini non può che rafforzare. Dunque in tempi di crisi l’allenatore si conferma oppure, se lo si cambia, si investe su di lui (è il caso soprattutto di Benitez e di Mazzarri) piuttosto che sui giocatori, complessivamente più costosi. È il risvolto della medaglia di una vecchia abitudine del pallone: cacciare il tecnico quando le cose vanno male perché meno complicato (e più economico) di una pedata nel sedere ai calciatori. Però le cose non sono così scontate visto che, come sostiene quel vecchio volpone di Fabio Capello, «un buon allenatore incide al massimo per il 20 per cento sul rendimento di una squadra mentre un cattivo allenatore può fare danni fino all’ 80 per cento». Prosit.

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