(G. Toti) – Sei camionette delle forze i dell’ordine, schierate sin dal mattino per proteggere Trigoria dalla contestazione di un centinaio di tifosi giallorossi, un clima di tensione che ha già raggiunto livelli già considerevoli. Martedì 9 luglio, 44 giorni dopo la fine (fallimentare) della stagione, 46 dall’inizio del nuovo campionato: benvenuti nel pianeta calcio, benvenuti in Italia, benvenuti a Roma.
Dobbiamo ancora ricominciare che siamo già nel caos. Storditi, ma non troppo sorpresi, dal fatto che qui il tempo sembra non essere passato e, soprattutto, sembra non avere lenito le più recenti ferite. E successo ieri alla Roma, ancora alla Roma, vittima di una contestazione ancora più violenta la sera del 26 maggio, con la Coppa Italia da poche ore lasciata nelle mani biancocelesti. Ma nonostante tutto, episodi di questo genere non vanno circoscritti alla Capitale, che pure — in tema di agitazioni in piazza — non ha bisogno di prendere lezioni da nessuno. La questione è che il calcio in questo Paese continua a non darsi una regolata, talmente avvitato nei suoi vizi peggiori da non riuscire nemmeno a intravedere delle basi diverse, migliori, da cui ripartire.
Se queste sono le premesse, diventa impossibile non essere pessimisti. Se il calcio è diventato così preminente nella vita delle persone, così centrale da non concepire un altro utilizzo di una mattinata estiva bellissima e piena di sole, vuole dire allora che siamo perduti. Destinati a convivere con questa follia collettiva, a misurarci —nolenti — con una estremizzazione del tifo che da tempo ha rotto gli argini e fa sempre più paura.