(G. De Santis) – La corsa elegante, sempre a testa alta, unita a giocate di classe sopraffina ripetute per 319 partite in serie A gli hanno garantito il titolo di «Principe». Uno stile, però, che Giuseppe Giannini, capitano della Roma degli anni ’90, non avrebbe saputo trasferire nella sua seconda vita di allenatore, come farebbe pensare la condanna a sei mesi di reclusione con l’accusa dilesionI e minacce per aver picchiato l’ex presidente della Sambenedettese, Alberto Soldini, colpevole – secondo Giannini – di non avergli pagato lo stipendio (circa 24 mila euro).
La sentenza di primo grado ha accolto la ricostruzione operata dal pubblico ministero Gianluca Mazzei, che ha riassunto in aula la giornata nera del 17 novembre del 2006 vissuta da Giannini, da due giorni nuovo c.t. della nazionale del Libano. Ingaggiato come allenatore della Sambenedettese– allora in serie C1 – nella speranza di riportare la squadra in serie B, e affiancato dall’ex bomber Roberto Pruzzo, Giannini non decolla. Anzi, l’esperienza si rivela un fallimento. La Samb infila una serie di sconfitte che la portano al penultimo posto: cosi l’ex «Principe» viene esonerato. Tuttavia le fortune della squadra non cambiano, anche perché Soldini (rappresentato dall’avvocato Antonio Moriconi) non riesce a condurre fuori dalle difficoltà economiche la società, dichiarata poi fallita al termine della stagione. È a quel punto che si apre il contenzioso tra Giannini e il suo presidente. Come ricordato dal pm, l’ex giallorosso, stufo di aspettare il pagamento degli stipendi, va sotto casa di Soldini urlando frasi come«scendi sennò ti ammazzo, dammi i soldi». Il presidente scende ma la discussione finisce in rissa e Soldini all’ospedale.