“La storia è un grande presente, e mai solamente un passato” scriveva Émile-Auguste Chartier, detto Alain, nella sua opera del 1945 dal titolo “Le avventure del cuore”. Evidentemente non deve essere stata dello stesso avviso dello scrittore francese, la proprietà americana che in data odierna ha presentato un nuovo logo destinato a campeggiare sulla maglia capitolina. L’iniziativa intrapresa dalla dirigenza, intorno alla quale si era generata una massiccia dose di aspettative – anche in virtù delle modalità presentative con tanto di countdown, quasi a sottolineare la capitale importanza del momento – non ha però riscosso il consenso sperato. Freddezza mista a stupore, aggregata ad una marcata vena di disapprovazione. Questo il sentimento largamente condiviso da gran parte della tifoseria giallorossa, per nulla stuzzicata dal restyling del tradizionale simbolo, che tende a somigliare quasi inequivocabilmente a quello disponibile, da circa 10 anni, presso i venditori ambulanti di merchandising non originale situati fuori lo stadio. Insomma quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un atto di riqualificazione volto a diffondere un consenso, ampliando gli orizzonti della società capitolina, ha invece sortito gli effetti opposti risultando piuttosto un’opera di lesa maestà perpetrata ai danni della Roma e con essa della Lupa Capitolina. Dall’emissione del primo vagito del nuovo emblema, si è scatenata una serie di reazioni a dir poco contrariate culminate con l’avvio di una petizione per chiedere il ripristino del precedente stemma. Uno stemma presentato con orgoglio dal Presidente in carica James Pallotta, nell’esigenza di legare ancor più indissolubilmente la società capitolina al nome della città. Tuttavia quella che viene definita come una brillante – e per certi versi inevitabile – trovata di marketing, si scontra con la realtà gravitante attorno all’universo calcistico.
IL RAPPORTO MARCHIO/INTROITI – Nella speciale classifica della Football Money League, un report riguardante i 20 club più ricchi d’Europa, ad imporsi é ancora la tradizione, con le prime posizioni occupate dal calcio spagnolo: Il Real Madrid i cui ricavi arrivano a 512,6 milioni di euro, precede il Barcellona di circa 30 milioni e per l’ottavo anno consecutivo si conferma in vetta, seguito per l’appunto dai catalani e nell’ordine dal Manchester United, Bayern Monaco, Chelsea ed Arsenal.
L’ESEMPIO DEL CITY – Tuttavia la new entry più interessante è costituita dal Manchester City, (l’anno scorso dodicesimo)attualmente giunto in settima posizione, protagonista assoluto di un primato ragguardevole: gli Skyblues hanno registrato infatti un incremento di fatturato elevatissimo, anzi il più alto di tutti i tempi (+68% da 116 a 285,6 milioni di euro), coinciso con l’insediamento dell’emiro arabo Mansour, il quale ha eroso ingenti quantità di denaro per aggiudicarsi i migliori calciatori ed affermarsi nel panorama nazionale britannico, FA Cup prima, Premier League poi, guadagnandosi pertanto l’accesso in campo Europeo con puntuale regolarità nel corso degli anni. Una crescita esponenziale di vendite che non ha avuto bisogno di un restyling del marchio, rimasto invariato, senza peraltro aver scolpito al suo interno il nome della città, espresso anche in questo caso da un acronimo M.C.F.C . Con in calce il motto latino Superbia in proelio.
LA TRADIZIONE SI IMPONE – Anche il club madrileno primeggia pur non annoverando nel proprio stemma il nome della città bensì lo storico acronimo CFM sovrastato da una corona per conferire un tono “Real”. Un risultato che esalta e demarca profondamente la tradizione di successi legati al marchio Real Madrid con cui si individua automaticamente la capitale spagnola senza la necessità di inserire il nome all’interno del proprio logo, in virtù di una bacheca ed un percorso storico costellato di trofei, condicio sine qua non, per la costruzione di una immagine vincente da esportare, permeando i mercati di tutto il mondo.
In seconda posizione seguono i connazionali del Barcellona che hanno registrato un’impennata di vendite grazie ai trionfi degli ultimi dieci anni, più che all’identificazione con il nome del capoluogo catalano. In questo caso l’acronimo FCB, Futebol Club Barcelona viene scandito per intero dai telecronisti iberici durante gli incontri dei blaugrana, in riferimento alle gesta di Messi e compagni. L’FCB è l’emblema non solo della città di Barcellona ma dell’intera Catalunya, il tutto senza che il nome del capoluogo catalano compaia nel logo del club.
Insomma se tre indizi fanno una prova, é evidente che prima dell’istituzione di un modello vincente, era assai raro vedere indossate per esempio le maglie di Amunike, Sonny Anderson, per chi non lo sapesse due calciatori del poco fortunato Barcellona degli anni ‘90, oppure quelle dell’attaccante Citizens Shaun Goater, nome senz’altro meno stuzzicante in confronto a quelli di Tevez o Aguero, finendo immancabilmente a Messi e Cristiano Ronaldo, icone universali di un calcio vincente conosciute in tutto il mondo.
IL MODELLO MANCHESTER UNITED – Proseguendo nella disamina si può osservare che il Manchester United porta invece nel suo simbolo il nome della città, accompagnato però dal termine identificativo United. Il modello proposto dai Red Devils – che hanno modificato il loro stemma nel corso del tempo, mantenendo comunque i criteri di appartenenza – oltre ad invitare a più di una riflessione, costituisce il paradigma di perfezione in quanto i proventi sono distribuiti in maniera piuttosto diversificata. A questo proposito le parole di Steve Richard risultano esplicative della cultura e della filosofia del club:
“Il merchandising è il risultato di tutto il resto, non è qualcosa che si alimenta da solo; esso dipende dai risultati della squadra, dalla base dei tifosi, dalla TV, dalle visite scolastiche allo stadio, dai genitori che vengono a visitare il teatro dei sogni”.
Interpreta proprio questa linea di pensiero il discorso che il Presidente dei Red Devils fece dinanzi a 50.000 tifosi festanti dopo una vittoria:
“Cari signori, miei appassionati tifosi, ricordatevi che se comprate i prodotti della Umbro (allora sponsor tecnico del club) io incasso le royalties e posso così rafforzare la squadra”.
I tifosi devono aver capito bene tale messaggio, invogliati dalla presenza di campioni e dal conseguimento di prestigiosi traguardi, di pari passo agli incredibili ricavi raggiunti dalla società per la vendita dei suoi prodotti
IL RAPPORTO CON I TIFOSI – Inoltre L’obiettivo della divisione merchandising al Manchester United è quello di dare ai tifosi un “pezzo” della squadra e di gestire il passaggio del merchandising da una mera vendita opportunistica di souvenir, alla creazione di un vero marchio di qualità e fedeltà che duri una vita.
Risiede proprio qui la netta e sostanziale differenza rispetto a quanto invece perseguito dalla nuova proprietà americana, la quale da l’impressione di trattare i suoi supporters non come tali ma in qualità di semplici consumatori. La società propone un approccio distaccato verso coloro che considera clienti, per di più offrendo un prodotto che, privato di sentimento, si configura puramente scadente: 28 sconfitte e terzo anno fuori dall’Europa ( compresa la sconfitta nel preliminare di Europa League con lo Slovan). Questi risultati, a dir poco fallimentari, hanno relegato la Roma nell‘anonimato più completo, costituendo un biglietto da visita ben più evidente, agli occhi dei mercati, rispetto alla scritta Roma 1927 posta sotto ciò che resta della Lupa Capitolina, depauperata del tono scultoreo che le apparteneva e del sostegno marmoreo su cui si adagiavano Romolo e Remo. Un Management accorto dovrebbe ben sapere che anche nel mondo del Core Business chi mantiene, nonostante le molte difficoltà, un orientamento romantico verso il proprio simbolo e la propria tradizione, andrebbe tutelato o quantomeno rispettato. Infatti anche effettuando l’analisi più pragmatica possibile, non si può non comprendere che il tifoso affezionato costituisca, se non altro, lo zoccolo duro di quel pubblico di riferimento verso il quale ci si rivolge per la vendita dei propri prodotti. Questo per dire che prima di apportare infruttuose modifiche, sarebbe stato più opportuno interpellare e magari coinvolgere alla partecipazione il suddetto pubblico, secondo la più semplice logica, sdoganata dalla finanza made in Usa, degli stakeholder, ovvero portatori di interesse nei confronti di una iniziativa economica il cui contributo è essenziale per il giusto andamento dell’impresa.
IL CALCIO NOSTRANO – Inoltre a corroborare una volta di più il ragionamento in questione, guardando al calcio di casa nostra, si può notare l’aumento del fatturato del Napoli (da 114,9 a 148,4 milioni di euro) che sull’onda di straordinarie performance sportive, ha avanzato il suo range di ben cinque posizioni, sovrastando le due compagini francesi Olympique Marsiglia e Lione. Tra i flop, impossibile non menzionare l’Inter, club che ha fatto del frequente restyling del marchio una vera e propria politica, non riscuotendo però il successo sperato poiché contestualmente al cambio di ciclo – contraddistinto dalla partenza di numerosi campioni, e dall’andamento deludente del dopo Mourinho – ha chiuso in perdita rispetto all’anno precedente (-26 milioni). La Roma ha evidenziato un decremento di fatturato di (- 28 milioni ) scontando, dopo tante aspettative dovute all’arrivo degli americani, i numerosi insuccessi sul campo vedendosi mestamente collocata in diciannovesima posizione.
Se una volta disattesi introiti e risultati sportivi, il simbolo in ambito di marketing ha un incidenza nettamente ridimensionata, a restare intatta è la sua sacralità in senso assoluto in grado di stimolare nella gente appartenenza e rappresentanza. Un rapporto ancestrale instauratosi nel tempo, che trova la sua esaltazione nelle vittorie ma anche e soprattutto nelle sconfitte, divenendo l’unico appiglio, da difendere strenuamente in nome di quella tradizione che a nessuno è permesso calpestare, tanto meno a chi dall’interno ha l’onore, e con esso particolarmente l’onere, di dover rappresentare più che degnamente. Se l’Urbe é nata quel 21 Aprile del 753 A.c, la sublimazione dell’amore per lei, in tempi moderni, risale alla fondazione – in una limpida notte estiva presso Via degli Uffici del Vicario – dell’ASR, l’Associazione Sportiva Roma: donna, madre ed amante di ciascun romano, espressione di una passione, croce e delizia, celati dietro un acronimo che é il vero legame indissolubile con la città, perché in esso si riconosce l’ideale di romanità promulgato Illo tempore dai suoi avi. Nel 1920 Thomas Stearns Eliot in riferimento agli innovatori più fervidi scriveva un importante monito: “La tradizione non si può ereditare; e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica”
A cura di Danilo Sancamillo
Twitter: @DSancamillo