(T. Cagnucci) – Non si sa perché ieri Panorama abbia elencato cinque motivi secondo cui Daniele De Rossi dovrebbe andarsene da Roma, ma si potrebbe fare una panoramica di tutti i motivi per cui Daniele De Rossi deve restare a Roma. Sono mille e mille e mille di più, ma ce n’è uno che vale tutti gli altri insieme, uno che vale di più: forse l’unico che va ricordato a lui, perché tutti gli altri lui sicuramente li sa.
Daniele De Rossi deve restare a Roma non perché è ancora uno dei più forti centrocampisti al mondo (lo ha detto la Confederations Cup l’altro giorno), non perché sennò con chi lo sostituisci? Non perché Daniele De Rossi è il giocatore nella storia della Associazione Sportiva Roma ad aver giocato più volte con la Nazionale, non perché Daniele De Rossi è il giocatore nella storia della Associazione Sportiva Roma ad aver segnato più volte con la Nazionale, non perché Daniele De Rossi è insieme a Attilio Ferraris il giocatore della storia dell’Associazione Sportiva Roma ad aver vinto una medaglia olimpica e un Mondiale.
Non perché Daniele De Rossi ha vinto un Mondiale e lo ha vinto tirando a ventidue anni un rigore dopo quattro giornate di squalifica in finale. Daniele De Rossi non deve restare alla Roma nemmeno perché una volta (a Bologna) si commosse quando raggiunse il numero di partite giocate da Agostino Di Bartolomei, e nemmeno perché pianse davanti a tutti quando intitolarono un campo a Trigoria per il Capitano. Daniele De Rossi non deve restare alla Roma perché da ragazzino indossava la maglia Barilla di Falcao e di Agostino o perché quella storia la conosce e la rispetta a memoria, nel cuore o davanti al mare. No. Daniele De Rossi non deve restare alla Roma perché quando la Roma perde perde soprattutto lui visto che è romanista e visto che il ritornello ormai è confezionato: “a corpa è de De Rossi”; non deve restare alla Roma perché non è vero che “so’ tre anni che non gioca” visto che nella stagione di Luis Enrique ha la media voto più alta dei giocatori della Roma; non deve restare alla Roma perché quando la Roma vince non gliene frega niente di venire a parlare davanti alle telecamere troppo occupato magari a rivedersi la partita nel suo personalissimo interiore 90° minuto. Non per il sorriso spudorato smargiasso beffardo fantastico romano romanista in diretta tv quando vide la schermata della classifica con la Lazio terz’ultima dopo la sconfitta in casa col Catania di Maxi Lopez. Non per quella volta che s’è arrampicato sul cancello giallo fra palco e realtà, pista dell’Olimpico e Curva dell’Olimpo dopo un derby vinto, nemmeno per quella volta che là sopra ci arrivò solo con un salto, per andarsi ad abbracciare Okaka dopo un gol al Siena all’ultimo minuto manco fosse il Real Madrid. Assist di Pit. Non per quella maglietta sdrucita, slabbrata, strappata, amata, baciata mille volte e milleuna riamata, tirata fra il suo cuore e le gole della sua gente dopo un 3-3 in rimonta sull’Inter. Non per il tiro da lontano (roba di decenni, roba di vecchia Roma come un ritornello che nessuno canta più) tirato dalle mille miglia a Siena per infrangersi – lui mare e sempre mare di Roma – contro una vetrata dove c’era una scritta per Antonio De Falchi e dove c’era la sua Brigata. Daniele De Rossi non deve restare per i fiori che ha portato sotto le vetrate e dentro al cuore, non per tutto quello che ha fatto e che non dice, non per le parole che sceglie di tacere quando se parlasse forse in tanti capirebbero quello che pure è evidente…
Non per rispondere a tutto il livore che sopporta, nemmeno alle calunnie che lo feriscono e che feriscono le cose sante della sua vita. Daniele De Rossi non devere restare alla Roma per le lacrime a Verona, né per il sorriso che quando la Roma segna sprigiona. E no, nemmeno perché semplicemente e veramente ama la Roma. Né perché è biondo, non per la vena del collo che si gonfia, non per far vedere quello che c’è sotto la barba (il viso pulito di una persona pulita), non perché ha firmato col contratto in scadenza rifiutando il doppio di quello che guadagna. Daniele De Rossi non deve restare a Roma nemmeno perché se se ne andasse farebbe vincere le cattive voci, le calunnie di fuori e non le voci di dentro, lasciando anche un po’ più soli i romanisti. Non se ne deve andare perché allo stadio finora non è mai stato fischiato dalla sua Curva, né perché negli ultimi tre anni la sua Curva ha deciso di fare soltanto uno striscione per un giocatore: a lui (“Daniele De Rossi non si tocca”). Daniele De Rossi deve restare per un motivo soltanto. Deve restare anche se a volte amare vuol dire soprattutto separarsi, lasciarsi e lasciarla andare. Ma l’amore devi saperlo anche finire e la tua storia, la tua immagine, la tua ultima partita non può essere quella. Non con te che piangi, non con loro che festeggiano. Non con te in ginocchio, non con quelli che saltano. No. Mai. No. Non lo meriti tu, non lo meritiamo noi. Non lo merita nessuno. Resta, magari per giocare solo un’altra partita. Alza quella Coppa Daniele, come fece Agostino, poi dopo se vuoi sarai libero di… amare.