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IL ROMANISTA E oggi Daniele scopre Garcia

De Rossi

(D. Galli) – Fatevene una ragione. Daniele De Rossi festeggerà oggi i suoi primi trent’anni tornando a casa sua. A Trigoria. Alla Roma. Non a Londra, non a Madrid, non a Dubai. Alla Roma. Sarà il primo contatto con Garcia, il primo giorno di scuola dopo le vacanze, il primo tête-à-tête, il primo sguardo incrociato, le prime parole parlate e non affidate a un sms.Fatevene una ragione, De Rossi torna perché di questa Roma, che Rudi cova silenzioso, sarà uno dei figli più belli. Perché è una Roma diversa, è quella dei Maicon, degli Strootman, dei carismatici e dei campioni, di un allenatore che non dà spettacolo dentro o fuori dal campo, non inventa slogan, predica il lavoro duro, pretende serietà. Questa è la Roma degli uomini veri. Ecco perché è la Roma di De Rossi. Tanti auguri, capitan. Capitan Futuro. Una fascia appiccicata nel destino, un soprannome che si perde non nella notte dei tempi ma nelle pagelle di un Samp-Roma speciale, quello dell’epico sinistro al volo di Totti.

C’era già stata tanta storia prima, tra De Rossi e la Roma: l’esordio ormai oltre dieci anni fa sul neutro di Piacenza per un Como-Roma con Capello in panchina, il primo gol il 10 maggio col Toro all’Olimpico. Fu un’escalation di classe e fu subito azzurro, un cammino tra le due maglie – quella giallorossa e quella della Nazionale – che non sempre è proseguito parallelo. Debutto e gol, di nuovo. Accadde con la Norvegia. Senza Totti, fu Cassano a consegnarli la fascia per la prima volta (Brescia-Roma 0-1, 12 dicembre 2004, mani di Mareco). Spalletti lo fece invece capitano dall’inizio, per una sera. Era Roma-Middlesbrough, l’Europa League si chiamava ancora Coppa Uefa. Spalletti. Poi Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli, adesso Garcia. De Rossi ha conosciuto pianeti differenti, sistemi di lavoro opposti, filosofie diverse, partito dal mare di Ostia ha navigato con ogni clima e condizione, dal rischio retrocessione a quello scudetto, ha vinto coppe e sognato campioni, è morto e risorto, è stato contestato, poi riamato, poi ricontestato.

Eppure, mai dalla Curva Sud. Che critica e insulta chi insulta la maglia e l’onore e dunque non potrà mai contestare chi – gioca bene, gioca male, quella fede professa. Sarebbe blasfemia, sarebbe bestemmiare se stessi. Perché Daniele De Rossi – gioca bene, gioca male – è semplicemente questo: un tifoso romanista, un vanto romano, e questo prima ancora che l’urlo in gol(a), la vena che s’ingrossa, il leader, il campione. De Rossi è quel qualcosa in più, spiegava una volta un famoso dirigente di questa Roma, che non si vede, che si cela nello spogliatoio, è un’alchimia. È un tesoro. Gioca bene, gioca male. Ha giocato male con la Roma, e non perché non abbia segnato manco un golletto in campionato o Coppa. Ha giocato male perché ha giocato male, senza dietrologie, presunti fantomatici sgarri e leggende vergognose da bar del gossip. Ha giocato male come quasi tutta la Roma, ha giocato male perché con Zeman – per colpa di entrambi – non c’è mai stata sintonia e la sintonia ci deve essere col centro del centrocampo, col centro della Roma.

Non c’è da dare colpe, capita, si chiama calcio. Però il De Rossi originale non è l’opaca brutta copia di se stesso, è il De Rossi della Confederations Cup, è il cervello della Nazionale, i piedi eleganti, l’incocciata di testa. È il fuoriclasse cercato dal Chelsea. «Daniele è un grande giocatore. Ed è meglio averlo con noi». Non l’ha detto un suo fan. Anzi, sì. Si chiama Rudi Garcia. «Regista? Sicuro, De Rossi sa aiutare la difesa, ma anche impostare. Se giocheremo con il 4-3-3 sarà perfetto per fare il mediano centrale, è polivalente, non ha problemi». Non ha problemi. È un vanto. È «un onore giocare con lui». Questo l’ha detto invece Strootman. Giocheranno assieme e con loro ci sarà Pjanic. Giocheranno assieme perché un centrocampo così se lo sognano ovunque. Anche a Londra.

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