(F.Canale) – Nel calcio professionistico la preparazione atletica è diventata una componente fondamentale. Eppure i ritiri estivi delle squadre, sempre più brevi e itineranti, continuano ad essere sacrificati sull’altare degli interessi economici. Per questo motivo abbiamo chiesto a Paolo Bertelli, preparatore atletico della Juventus e grande esperto del settore, di spiegare come viene organizzato il lavoro fisico nel calcio di oggi.
Com’è cambiata la preparazione negli ultimi anni?
Prima si lavorava di più sul fondo, oggi invece i carichi sono spalmati durante la stagione: perché questo cambio?
“I fatti hanno dimostrato che la corsa continua è quella che influenza meno la prestazione del gioco del calcio. Il cambio è stato prodotto dall’arrivo di quei giovani preparatori atletici che non erano più influenzati delle vecchie metodologie degli anni ’80 mutuate dall’atletica leggera. Come conferma un’analisi critica delle performance dei giocatori, non c’è più bisogno di fare corse lunghe. Piuttosto, è meglio lavorare sulle fasi di accelerazione e decelerazione”.
Le squadre ora lavorano subito col pallone e privilegiano l’aspetto tecnico-tattico: è corretto parlare di modello spagnolo?
“La situazione sta cambiando, c’è interesse e curiosità verso i sistemi di allenamento provenienti dalla Spagna, ma non c’è stata ancora un’elaborazione autonoma di questi metodi. Io parlerei piuttosto di una moda del momento che è stata copiata. La verità è che i calciatori devono giocare. La preparazione serve a metterli in condizione di sostenere gli allenamenti ad alta intensità prolungata durante la settimana, in modo che la domenica siano preparati fisicamente e possano andare forte in partita”.
Come cambiano la pianificazione di una preparazione gli spostamenti e le tournée estive?
“Ci sono diversi fattori che condizionano oramai i ritiri; su tutti, la parte commerciale e quella agonistica, ossia l’elevato numero di partite. Negli anni ’90 si facevano le cose a stadi: prima il fondo, poi l’acido lattico, infine la velocità. Ma questo tipo di preparazione non esiste più. Ora si parte subito con le esercitazioni sulle accelerazioni, le frenate e i cambi di direzione. In realtà quella della preparazione estiva è una favola, il lavoro viene programmato in base agli impegni delle squadre, di anno in anno”.
Quanto ha inciso nel cambio dei metodi di preparazione il fatto che oramai si giochi una volta ogni 3 giorni?
“Per la mia esperienza maturata con la Roma e la Juventus, la vera difficoltà è quella di distribuire il lavoro nel tempo, ossia in quelle 3-4 settimane a disposizione. Dipende molto anche dall’utilizzo dei singoli calciatori. Un allenatore sceglie sempre in base a quello che ritiene il bene della squadra, non sta a vedere se un calciatore abbia giocato molto o poco. Uno staff composto da 4 preparatori lo aiuta in tal senso. Seguire individualmente i componenti di un gruppo è diventata una necessità. Comunque la principale difficoltà rimane distribuire durante la stagione i carichi di lavoro tenendo conto degli impegni”.
Si è sempre detto: le preparazioni meglio farle in montagna che in città…
“Io le ho provate tutte, con la Roma ad esempio eravamo rimasti a Trigoria. Oramai i ritiri in montagna durano dieci giorni e gli effetti positivi sono limitati. Un elemento importante, oltre alle ricadute economiche, è rappresentato dal fresco la sera, ma non saranno certo una decina di giorni in montagna a dare dei benefici duraturi ed evidenti. Con la Juventus quest’anno faremo entrambe le cose: dopo il ritiro di Chatillon, la tournée americana ci permetterà di lavorare al livello del mare”.
Come giudica la condizione atletica degli arbitri?
“I direttori di gara italiani sono preparatissimi, dei veri professionisti Mi è capitato di fargli i complimenti in partite tirate alla morte. Alcuni hanno addirittura un preparatore personale. Detto questo, è chiaro che la prestazione di un calciatore sarà sempre superiore, è difficile trovare un guardalinee più veloce di un giocatore”.