Prima che arrivassi allo stadio Olimpico per il derby di aprile, alcuni ultras avevano già accoltellato 4 persone, aperto la testa di altri tifosi con bottiglie di vetro e terrorizzato il personale di un’ambulanza con sassi e petardi. Frammenti di pietra giacevano sparsi ai piedi dell’obelisco dedicato a Mussolini. Copie del Corriere dello Sport venivano spinte nell’aria dal vento come in uno Spaghetti Western.
Dentro lo stadio, oltre 50.000 tifosi laziali e romanisti. Le loro squadre lottavano per un posto in Europa League, per non parlare del primato cittadino. Il Derby della Capitale già prometteva d’essere uno di quegli incontri di altissimo livello, di quelli che rendono l’Europa un crogiolo per i migliori talenti del mondo. Era quel tipo di match che agli americani appare troppo poco frequentemente. E proprio per questo sono andato lì: vedere l’Americano.
Micheal Bradley è stato facile da trovare. Gambe lunghe, braccia corte, una corsa eretta, simile a quella di un gallo. Ha ottenuto diversi soprannomi in stile militare: “Generale” e “Marine”, ad esempio. La stampa italiana lo soprannominò Capitan America durante la stagione passata al Chievo Verona. Gli altri soprannomi, come Lex Luthor, Megamind e Alien, sono dovuti alla sua testa rasata, che è poi il suo tratto più facilmente riconoscibile.
Quando la Roma lo acquistò per 3.75 milioni di dollari nel 2012, qualcuno pensò si trattasse solo di un centrocampista Americano di 26 anni utile a far crescere il marketing giallorosso negli Usa. Ma Bradley presto si guadagnò un posto da titolare nello schieramento di Zdenek Zeman, lasciandolo giocare nella posizione di intermedio a centrocampo. Micheal giocò bene, a tal punto da far sembrare sacrificabile il più costoso Daniele De Rossi. A febbraio, comunque, Zeman venne esonerato e il ruolo di Bradley venne ridimensionato con Aurelio Andreazzoli.
Contro la Lazio, Bradley fu schierato a destra, con De Rossi al centro nel 4-3-1-2, nel tentativo di soffocare le ali biancocelesti. L’idea si perse proprio al fischio iniziale dell’arbitro e il centrocampo laziale ebbe subito la meglio. Al 16° il vantaggio della Lazio con Hernanes. Qualcuno vicino a me strillò: “Stronzo!”. Un altro: “Mortacci tua!”. Ah, il derby.
Nel secondo tempo la Roma giocò meglio e trasformò un penalty nell’1-1 finale. Ma la svolta tattica fu la sostituzione di De Rossi e il passaggio al modulo 4-3-3. Bradley si spostò al centro, in posizione di mediano. Per il resto della gara controllò l’area davanti la difesa, respingendo il centrocampo laziale, intercettando i passaggi verso gli attaccanti biancocelesti e assistendo il capitano Francesco Totti. Gli italiani hanno un termine per definire questo movimento: tergicristallo.
Fonte: Howlermagazine.com