James Pallotta, un vecchio investitore di 55 anni di Boston si trova nell’ascensore di un hotel vicino a Junior Tallo, attaccante ivoriano di 20 anni, con alle orecchie delle cuffie. Allora gli chiede che cosa si stesse ascoltando.
Tallo risponde, ma il suo accento lasciò Pallotta confuso. Il miliardario americano si piega per leggere di display dell’Ipod e dice “Oh, Lil Wayne”. quindi Pallotta conoscendo perfettamente il rapper gli cita un pezzo “Love me”.
Tallo ride.”Sono andato a vedere Jay-Z domenica notte, – continua Pallotta – ti manderò la mia playlist”.
Parlando a SI.com qualche istante dopo, questa volta come proprietario di maggioranza e presidente dell’As Roma, Pallotta ha spiegato il suo rapporto e il suo legame con il giovane ivoriano. “E’ una squadra. Siete una famiglia. Non dei servi – dice il presidente – quello che molte persone perdono di vista con queste squadre, è che ci sono dei ragazzi. Non solo dei ragazzi, si sono trasferiti dal Brasile, dalla croazia o dall’Argentina e ora sono a Roma. Dovete essere dei mentori e li dovete far sentire parte di una famiglia”.
Discendente da una famiglia di primi emigrati italiani in America famosa nel Nord End di Boston che ha definito “la zona più italiana degli Stati Uniti”, Pallotta è stato abituato a vivere in un crocevia di culture differenti. Adesso sta a cavallo tra continente ed è l’unico presidente straniero di un club di Serie A e ci è voluto tempo per abituarsi a una nazione così orgogliosa e ‘protezionistica’ verso la sua identità e il suo calcio.
La scorsa settimana infatti, il presidente della Figc Giancarlo Abete interpellato sull’interesse di investitori stranieri sui club italiani ha detto “ci rende tristi, mi piacerebbe che tutte le famiglie storiche che hanno reso grande il calcio italiano rimanessero in carica nei loro club”. Ma è uno sport globale, e la strada di Pallotta verso il successo richiede di lasciar perdere i vecchi comportamenti provinciali.
Fonte: Sportsillustrated.cnn.com