(L. Valdiserri) Adem Ljajic parla come gioca. Senza paura, al punto da sembrare sfrontato. Ha il guizzo, non si fa scappare il tiro proprio come la battuta. Non è un diplomatico. Ha pagato per i suoi errori ma sono anche le esperienze che lo hanno fatto crescere. Quello che pensano di lui gli importa fino a un certo punto perché conosce i suoi punti di forza: una famiglia molto presente che gli vuole bene; un procuratore di cui si fida e a cui lascia le decisioni; la voglia di essere il migliore e non uno dei tanti. La conferenza stampa con cui si è presentato ai tifosi romanisti è stata a basso tasso di banalità. Ha detto quello che voleva e quello che non poteva dire l’ha fatto capire.
Perché la Roma e non il Milan, che lo voleva tra un anno a parametro zero? «Ho parlato con i dirigenti della Fiorentina e sapevano quello che volevo. Non abbiamo trovato un accordo e il mio procuratore mi ha presentato le squadre che mi cercavano. Ho deciso in fretta di venire qui perché la Roma è forte e ha una bella storia. L’anno scorso ha battuto la Fiorentina tre volte su tre, giocando sempre palla a terra. Fiorentina e Roma giocano il calcio più bello del campionato». Perché, allora, è arrivata sesta e, soprattutto, cosa può fare quest’anno? «Non conosco le dinamiche precise della scorsa stagione ma, vista da fuori, era già una squadra molto forte. Quest’anno vedo davanti solo la Juve. Possiamo arrivare secondi, anche se la lotta sarà dura: Napoli, Fiorentina, Milan… Ma ci siamo di sicuro anche noi».
L’etichetta di cattivo? La rifiuta: «Io non sono mai stato cattivo, chiedetelo pure ai miei ex compagni della Fiorentina. Quando un giocatore non gioca, però, è normale che sia nervoso. Io sono arrivato dal campionato serbo, che è più facile di quello italiano, e all’inizio ho avuto difficoltà. Con Montella e con il 4-3-3 ho trovato il mio gioco. E sono uno che vuole giocare sempre». Anche contro il Verona? «Io sono pronto. Davvero. Se il mister decide di farmi giocare, ci sono. Se no, rispetto quello che vuole lui». Inevitabile il confronto con Lamela: «Erik è stato un giocatore molto importante per questa squadra, ma non voglio fare paragoni. Tatticamente? Lui è un mancino che giocava a destra e io un destro che gioca a sinistra. Però non ho problemi a fare la punta centrale o un altro ruolo. Se me lo chiede il mister, gioco terzino. Ho preso l’8 perché era il numero che avevo nelle giovanili del Partizan. Il mio preferito è il 22 (il numero di Kakà; ndr), ma alla Roma ce l’ha già Destro».
A Firenze divideva le punizioni con l’amico Jovetic, a Roma c’è Francesco Totti. Sarà dura: «A Firenze calciavo le punizioni, qua posso farlo se non gioca Francesco. Altrimenti devo stare fermo e, semmai, andare per la ribattuta». Contro la Roma ha perso spesso, contro la Lazio segnato 6 gol, tra i quali il primo in serie A. «Ho giocato il derby in Serbia (Partizan-Stella Rossa; ndr) e dicono che sia il più pericoloso. So che anche quello di Roma non scherza. Alla Lazio, l’anno scorso, ho segnato sia in casa che fuori, speriamo di farlo ancora». A Roma per restare o, grazie alla clausola, mettersi in mostra e poi volare altrove? «Potrei restare anche dieci anni. Voglio vincere: le ambizioni della Roma sono le mie. La clausola rescissoria? Dovete chiederlo al mio procuratore, io ho solo firmato il contratto». Una bugia si può anche perdonare. E poi, chissà, magari sarà per sempre.