(M. Evangelisti) – A differenza dell’ala, il terzino non è mai solo. Se attacca deve aspettarsi fiera opposizione, se difende viene circondato. Ecco due uomini che sul lavoro fanno di tutto per restare soli e comodamente arrivare là dove il campo finisce e se possibile tirare in porta, altrimenti far tirare altri. Sono due per i quali è andato vicino a finire il calcio, non solo il campo. Uno detto Maicon, l’altro detto Dodò, brasiliani dal volto disumano, Maicon per durezza Dodò per dolcezza. […]
MAICON – Ha lo sguardo dolce di un coccodrillo che non piange. Niente razzismo, please. Ma vederselo accanto così massiccio e così scuro e con la faccia da capobanda non è rassicurante. Poi si ferma, dolcissimo, e firma autografi a tonnellate. Se però non gli va non c’è nessuno che si azzardi a rinfacciarglielo, come invece molti si sentono liberi di fare per esempio con Osvaldo.
Maicon era stato accolto a Roma da notevole concorso di popolo. Ha salutato, ringraziato, promesso: «Ripagherò la fiducia e l’affetto». Poi è scomparso, un numero su una lista. A Trigoria passava le giornate in piscina. Partito per l’America, le spendeva in albergo. Ma in ogni albergo frequentato dalla Roma c’è almeno una piscina e una palestra. Era lì che Maicon si nascondeva, a lasciarsi ricrescere. L’infortunio a una caviglia lo ha tenuto fermo per diverse settimane. Quando Sabatini è andato a rintracciarlo a Manchester era a pezzi. L’atto di fiducia, approvato dal tecnico Garcia, c’è effettivamente stato.
E’ ricomparso di colpo al Wellesley College come se mai avesse lasciato perdere le sue tracce. Parlando il poco che serve, ancora correndo il poco che serve. Già scoprirlo tra i compagni aiutava a convincersi che non si tratta di un acquisto inutile. Lui garantisce per sé: «Non sarei mai rimasto senza calcio. Ho ancora molto da dare, a 32 anni. Nel 2014 il Brasile gioca il Mondiale in casa e io conto di esserci». Impresa dura visto come sta girando la Nazionale di Neymar, ma Maicon si considera ancora più duro.
Garcia lo appoggia: «Volevo farlo giocare una ventina di minuti contro il Toronto, tanto perché cominciasse a riprendere le misure. E’ rimasto in campo un’ora. Spiegatemi perché mai dovrei dubitare della sua efficienza fisica». Diciamo che sta un po’ troppo alto e ancora è in ritardo di qualche passo nei recuperi. Però quando riesce a caricare la molla di propulsione e a liberarla di colpo spacca. Sembra il Fenomeno degli X-Men, l’essere che nessuna barriera può fermare. […]
DODO’ – «Quello che voglio è una stagione diversa, solo una stagione diversa». Dev’essere uno che fa impazzire le ragazze, con quel casco di capelli scuri e quella faccia da serafino. Che poi è degna della sua fresca età. A Dodò avevano detto che la sua carriera dipendeva da un crociato e lui lì per lì aveva capito di doversi trovare un protettore fedele e pure un po’ fanatico. E’ un ragazzo intelligente e per nulla incolto. D’altra parte non si aspettava di doversi togliere lo sfizio di un infortunio che è la maledizione dei calciatori. Il crociato del ginocchio, gli hanno spiegato pazientemente: è in uno stato pietoso.
La Roma lo ha preso lo stesso, tenendolo di fatto un anno intero a bagnomaria. I tifosi si sono chiesti perché. Anche qualche tecnico si è chiesto perché. Rudi Garcia non ha vissuto il peso di queste domande. Il Dodò che ha trovato all’arrivo a Roma è un Dodò calciatore, non il paziente più amato dagli ortopedici. Con il Toronto non si è fermato per l’intero match.
«Sto bene, adesso. Ma non dirò mai: voglio giocare tutte le partite o dieci o venti. Mancherei di rispetto ai miei compagni, che sono qui anche loro per andare in campo il più possibile». Faccia da serafino, carattere pure. Ha saputo che Gervinho teneva particolarmente alla maglia 27 e lui, brasiliano di Campinas che sta negli smaliziati dintorni di San Paolo, libero da qualsiasi superstizione gli ha ceduto il numero che portava lo scorso anno. Avrà il 3, che comunque risuona di suggestioni, da Facchetti a Marquinho.
Scende e rientra, sta stretto sull’attaccante, guarda il pallone e libera di testa. «Resto un giocatore offensivo. Il dinamismo e il tocco sono quanto di meglio io possa offrire alla Roma. Ma è vero che quando sono arrivato ero a digiuno di questioni tattiche e che con Andreazzoli e con Garcia ho imparato tanto. L’allenatore mi parla e mi spiega, Burdisso e Castan mi aiutano». E con questo abbiamo dato l’ultimo benservito a Zeman. Resta il problema della convivenza con Balzaretti. «Sa Garcia se possiamo giocare insieme. Il calcio è così, vive di alternative. E credo che questo sia un bene per lo sport, per la Roma e per il nostro allenatore». Proprio un serafino.