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CORRIERE DELLO SPORT Pugni e applausi: dna da campione

Adem Ljajic

(F. Bandinelli) Diavolo e acquasanta, condensati in un unica figura. Adem Ljajic, playstation e cioccolata, schiaffi e aureola in testa, si è già messo il giallorosso sulla pelle. Firenze, dal canto suo, lo ha dimenticato senza troppi rimpianti, cronaca di un amore divampato all’improvviso e poi finito in un mare di delusione. Nutellovic, come lo hanno soprannominato tutti in riva all’Arno, piaceva per i suoi contrasti, per il genio e per la sregolatezza, per quel suo saper esser monello ma anche suscitare il sentimento del perdono (tranne che nei vicini), disarmati da quegli occhi cerulei. E’ piaciuto il suo estro in campo e più probabilmente la bella storia che ha raccontato in questi ultimi mesi, quella del ragazzo redento che dopo esser sprofondato agli inferi ha saputo ripulirsi la faccia – come amava sempre dire Adem – dalla brutta patina che incredibilmente gli era rimasta attaccata. Bastava niente e la responsabilità era sempre la sua, un po’ eroe e un po’ Calimero. Fino a quando, all’improvviso, si è risvegliato più uomo e più calciatore. Ha cominciato a segnare, a vedere la gente divertirsi, andargli incontro, trasformare gli insulti in cori e applausi. (…)

Dalle lacrime della panchina ai fischi del Franchi che dopo quella brutta figura in mondo visione – gli schiaffi di Rossi a Ljajic – individuarono nel serbo l’origine di tutti i mali della Fiorentina. La redenzione del giovane Adem è cominciata così, solo contro tutti, unicamente con papà Samir a parlare in sua difesa. Da allora, da quel 2 maggio 2012, ha cambiato pelle. Ha ricominciato da capo, trasformandosi da malandrino in angioletto, risalendo la china dall’inferno in cui si era cacciato fino al paradiso che all’improvviso ha deciso di costruirsi. Ha mangiato forse più cioccolata, si è nascosto dietro il rumore pompato dalle sue gigantesche cuffie rosse (che amplificano solo musica serba) ma ha cancellato tutto il resto. E’ diventato il primo ad arrivare al campo di allenamento e l’ultimo a lasciarlo. Ha seguito tutti i consigli di Vincenzo Montella, tanto che qualche planata in campo, l’ha fatta pure lui, Adem il serbo. Ha cancellato il fantasma che lo aveva abbracciato e si è ridisegnato nella maniera migliore. Tanto che Firenze, città amante del calcio-fantasia e dei personaggi estrosi, se n’è subito innamorata. I fischi sono diventati applausi e gli insulti carezze. Nessuno ha dimenticato i dieci gol realizzati nella seconda parte della scorsa stagione. Nel mezzo si è divertito a giocare con la playstation, uno dei passatempi preferiti, e a stare con gli amici. Da buon musulmano non ha tatuaggi e in tasca ha sempre due cellulari, uno italiano e l’altro serbo. (…)

(…) Persino Sinisa Mihajlovic che per via di un inno non cantato per motivi politici lo ha addirittura fatto fuori dalla Nazionale. Ljajic non se n’è mai preoccupato più di tanto: monello di strada, impertinente, sfrontato ma spesso pure divertente. Si è fatto ritirare la patente e sequestrare il Suv perché trovato in possesso di una patente non conforme alle normative europee – nonostante il “caldo” invito da parte della Fiorentina a tutti i suoi ragazzi della colonia dell’est a mettersi in regola -, ma più di ogni altra cosa ha avuto la straordinaria capacità di farsi pizzicare ogni volta nel bel mezzo della movida fiorentina nel momento più difficile della storia viola degli ultimi anni.

Non è mai riuscito ad eguagliare Vargas, va detto, l’unico a finire con la macchina cappottata l’antivigilia di un match davanti a casa dell’allenatore (allora era Mihajlovic), ma più o meno a irriverenza ci è andato vicino. Lo sanno bene i dirimpettai di casa, i primi a tirare un sospiro di sollievo di fronte alla notizia della cessione del giocatore e a brindare alla ritrovata tranquillità. Gli schiamazzi notturni erano all’ordine del giorno, così come le multe per divieto di sosta di una vettura sistematicamente parcheggiata in maniera poco ortodossa da qualche amico.

(…) A dargli la maglia da titolare fu Sinisa Mihajlovic, nel suo primo anno sulla panchina viola e lui ha cominciato a segnare, prima a singhiozzo ma quasi sempre contro la Lazio, la squadra che è diventata uno dei suoi bersagli preferiti. Sei gare giocate, tre gol segnati, di cui due la scorsa stagione, uno all’andata e uno al ritorno. Adesso, questo suo feeling coi biancocelesti dovrà essere bravo a sfruttarlo nel derby. A Firenze, in 88 gare, ha segnato sedici volte, ma anche sbagliato due calci di rigore, due anni fa. Aveva sulle spalle la responsabilità di dover sostituire l’infortunato, oltre che amico, Stevan Jovetic, eppure non si tirò indietro. Sbagliò tanto, tutto quello che fino a qualche mese prima sembra venirgli scontato improvvisamente non riusciva più. Ha viaggiato a corrente alternata pure all’inizio della scorsa stagione, nonostante fosse stato il capocannoniere del pre-campionato. La svolta c’è stata dalla scorsa estate. Disse no alla prospettiva di cessione perché voleva mettersi in gioco con la maglia viola sulle spalle e da quel giorno non ha più sbagliato una mossa. Ha segnato in ogni modo, di piede, di testa, in area. L’Europa, quella dove ha fatto capolino per una manciata di minuti l’altra settimana a Zurigo, dovrà essere bravo a riconquistarsela da solo. A suon di gol (11 lo scorso campionato) e pure di assist. Sei, solo nell’ultima stagione.

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