(A. Abodi) – Il rapporto tra il tifoso e lo stadio rappresenta uno dei punti cardinali dei fattori di debolezza del sistema calcistico italiano. E fin qui non c’è novità visto che se ne parla da anni. Qualche mese fa La Gazzetta dello Sport presentò il progetto «Il calcio che vogliamo» che si poneva l’obiettivo di favorire la traduzione in progettualità di stati d’animo, esigenze e proposte degli appassionati. E lo stadio era ben presente, in tutti i suoi limiti ampiamente e chiaramente certificati. In questi giorni sono fatti di cronaca a far tornare il tema all’attenzione dell’informazione, testimoniando l’insopportabile difficoltà che troppo spesso rende complesso, frustrantee disincentivante l’acquisto di un biglietto per entrare in uno stadio dentro il quale, una volta compiuta l’impresa, non regnano certamente la comodità e i servizi. Mauro Del Bue nel suo intervento pubblicato domenica ha ammesso di aver sbagliato a votare la norma che prevedeva la nominatività del biglietto. Ma questo è stato lo strumento che ci ha consentito di impedire l’accesso agli impianti di migliaia di usurpatori del titolo di tifosi, restituendo alla vita interna degli impianti una crescente sicurezza.
Piuttosto mi permetto di contestare l’utilità della Tessera del tifoso, i limiti tecnologici nella certificazione in «tempo reale» del diritto di accesso di una persona, l’obbligo del documento per un bambino, il divieto altro esempio emblematico di entrare con un ombrello in stadi spesso scoperti. Il tema ha bisogno di fatti: impianti nuovi o ristrutturati, sicurezza, acquisto semplificato dei biglietti, politiche di fidelizzazione e servizi per i tifosi, comportamenti e linguaggi adeguati da parte dei protagonisti. Nella ricerca delle soluzioni, è necessario raccogliere dai principali interlocutori istituzionali la disponibilità a ragionare insieme al mondo del calcio e sempre insieme trovare risposte rapide, di buonsenso e integrate tra loro. Il premier Letta nei suoi discorsi d’insediamento al Senato e alla Camera ha affrontato, per primo nella storia repubblicana (!), i temi dello sport e delle infrastrutture sportive. Con quello che succede in questi giorni sono a disagio a richiamare quell’impegno ma anche nelle emergenze bisogna avere la capacità di dare un senso di normalità alle agende nei vari settori, quindi anche il «nostro» tema può e deve andare avanti con il contributo di chi ha ruoli e responsabilità, che non devono solo rappresentare uno status, ma testimoniare concretamente il senso dell’opportunità di contribuire alla crescita e allo sviluppo di un sistema a misura di persona. Vale per il problema in questione, ma, evidentemente, non solo.