(A. Angeloni) – Le vacanze logorano chi non le fa, verrebbe da dire pensando a Roberto Mancini, che si gode ancora la Sardegna, luogo di lusso per un “disoccupato” di successo. Legge, guarda, scruta, si informa, qualche bagno, una gita in barca, un percorso in bici. «Sì ma dopo un po’ ci si rompe», sussurra l’ex allenatore del Manchester City dall’altra parte della cornetta. La voglia di parlare di calcio non manca. «E io sono orgoglioso di aver lavorato in Inghilterra. Lì si fa il miglior calcio del mondo».
Ne è convinto?
«Assolutamente sì».
Cosa lo rende tale?
«Semplice: ci sono i giocatori più bravi, gli stadi migliori, il pubblico più bello, pronto a riempire un impianto anche durante una semplice amichevole. Si pensa al divertimento, non ci sono polemiche, ci si allena, si gioca e finisce tutto lì. Tutte questo lo rende il migliore, insomma».
Anche per voi è più facile lavorare.
«Sì. In Premier è esagerata solo la ricerca del gossip, la caccia al pettegolezzo. Ma da un punto di vista tecnico c’è molto rispetto per calciatori e allenatori da parte di chi fa informazione. Nessuno ti insulta per una cosa che fai o se perdi una partita».
L’Italia è indietro di 25 anni, sostiene De Rossi.
«Non so se siano 25, 30, 10, di sicuro manca qualcosa. Ma è anche vero che in Italia è difficile cambiare, anzi penso che alla fine non si cambierà mai».
Pessimista.
«No, realista. Io sono italiano, amo l’Italia, voglio che cresca e che torni ad essere il miglior posto dove fare calcio. Ma noi siamo fatti in un certo modo, ci piace la polemica. Un calciatore è un fallito e dopo due giorni diventa un fenomeno e così via. Siamo fatti così. A me non piace».
Questo è l’aspetto esteriore. Parliamo degli stadi?
«Anche qui siamo indietro. La Germania, ad esempio, è ripartita da questo aspetto. E ora la Bundesliga è tornato ad essere un campionato competitivo. Gli stadi portano soldi, quindi investimenti. In giro per il mondo da un po’ c’è il contributo di investitori stranieri, in Italia si è cominciato da poco».
Diceva del campionato inglese e del tedesco, poi?
«La Liga. Anche se lì alla fin fine ci sono due squadre di alto livello, che però vantano i primi tre giocatori più forti al mondo: Messi, Cristiano Ronaldo e Iniesta. Anche in Francia ci sono club in crescita».
Insomma, il campionato italiano non entra in Champions League.
«Direi di no, almeno in questo momento».
Eppure lei sarebbe tornato, giusto?
«Perché no? Mica è tutto da buttare. Quest’anno sono arrivati grandi giocatori, quindi si può ripartire e sperare. Certo per tornare agli anni ottanta, quando il centro del mondo eravamo noi, ci vuole ancora tempo».
Alla Roma sarebbe andato?
«Storia vecchia. Non c’è mai stato nulla, però faccio l’allenatore e quindi avrei valutato tutto, anche la Roma, che come organico mi intriga particolarmente».
Nonostante il suo passato alla Lazio?
«Alla Lazio sono stato bene, ma io faccio il professionista».
Sacchi sostiene che da noi il problema sono i troppi stranieri.
«Sono in parte d’accordo. Però dico anche che se uno è bravo emerge lo stesso e io ho visto tanti italiani crescere con il loro aiuto. Il discorso degli stranieri si fa da quando giocavo, poi ti accorgi che dall’82 ad oggi l’Italia vince due mondiali e gioca due finali. Quindi, nonostante certi problemi, i risultati sono arrivati».
C’è anche chi sostiene che il problema sia la mancanza della cultura della sconfitta.
«In Italia, se un allenatore non vince, viene cacciato, e per evitare questo si appoggia a calciatori di esperienza e quasi mai ai ragazzi più giovani. Ecco, questo è un problema. Ma torniamo al discorso della mentalità difficile da cambiare».
Da noi è arrivato Tevez, che con lei ha avuto problemi.
«Ma no, Carlos è un bravo ragazzo. Con me ha “sbroccato” una volta, quando pensava di andare via. Altro che, la Juve ha fatto un grande colpo e non l’ha pagato nemmeno tanto».
Bale invece?
«È un bel giocatore ma cento milioni sono troppi. Ma non è un discorso morale. Il Real è una società che incassa ogni anno cinquecento milioni di euro, se ne vuole spendere cento cosa c’è di immorale? Cosa cambierebbe se ne investisse cinquanta su uno e cinquanta su un altro?».
Altro arrivo in Italia di sua conoscenza, Maicon.
«Grandissimo giocatore, se sta bene è il migliore».
Ma sta bene?
«Al City non lo è stato mai».
Si dice che sia un calciatore scaricato dalle tante vittorie.
«Lui ha in testa il Mondiale, farà un grande stagione».
De Rossi è rimasto alla Roma anche quest’anno.
«Io lo volevo l’anno scorso, poi ha scelto di restare e la Roma non ce l’ha più dato».
C’è rimasto male?
«Sono scelte che capisco».
Totti, Di Natale, i migliori sono ultra trentenni.
«Una bella generazione, ma prima di rivederne un’altra ci vuole pazienza. Ma in Italia ci sono diversi calciatori bravi, vedi El Shaarawy, Insigne».
Balotelli.
«Mario è fortissimo, ormai è un calciatore affermato».
Sempre alle prese con gli insulti razzisti.
«Non deve dargli peso. In Inghilterra non aveva questo tipo di problemi».
Se la ingaggia una squadra e dopo due mesi le vendono due calciatori forti, che fa? Il riferimento è alla Roma e Garcia, ovviamente.
«Non saprei. Di solito un tecnico quando accetta di allenare una squadra accetta i programmi del club. Magari Garcia sapeva che sarebbero partiti Osvaldo e Marquinhos e altri. Però è pure vero che in giallorosso sono arrivati altri calciatori. Strootman ad esempio è un talento».
Della Lazio cosa pensa?
«Non la conosco tantissimo, ha preso tanti giocatori ma conosco solo Novaretti. L’ossatura è comunque forte, può fare bene in Europa League»
Moratti si sta staccando dall’Inter. Che effetto le fa?
«Mi dispiace molto perché so quanto sia legato il presidente alla sua creatura. Ma conoscendolo dico anche che questa è una scelta che Moratti prende per il bene dell’Inter. Ha sempre agito con questi propositi».
La Juve di Conte vincerà ancora?
«Penso sia la più forte. Ha tutto per prendersi un altro scudetto e fare bene in Champions. Ma occhio al Napoli e al Milan».
Mancini, progetti per il futuro?