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IL ROMANISTA Mauri e Ago. Coppe in faccia e coppe al cielo

Agostino Di Bartolomei

(T. Cagnucci) – Dopo il pronunciamento della Disciplinare più di qualche laziale ha esultato per i 6 mesi di squalifica a Mauri e per l’ammenda inflitta alla Lazio. Un sospiro di sollievo per aver evitato i 4 anni e mezzo di stop al giocatore e i 6 punti di penalizzazione alla squadra chiesti da Palazzi, ma pur sempre un’esultanza per una condanna. Il paragone è con la mitica esultanza dell’esercito di Silvio nel momento in cui viene pronunciata la sentenza della Cassazione, soltanto che l’esercito (!) di Silvio ha frainteso, il popolo (?) di Capocchiano no.

Qui non si vuol fare nessuna ironia su chi viene condannato (anche se ci sono condanne e condanne e uomini e uomini) perché in generale è meschino esultare per chi perde la libertà e resta cosa grave che a Mauri sia accaduto un anno fa; qui non si entra nel merito delle tante telefonate intercettate, dei cosiddetti zingari eccetera, perché c’è la Giustiza che lo deve fare. Ma lo ha fatto. Dall’altro ieri il capitano che ha alzato la coppa in faccia (un mantra che qualsiasi tirocinante in psicologia catalogherebbe come patologica frustrazione) è un condannato per la giustizia sportiva.

Il capitano del 26 maggio è colpevole di “omessa denuncia”. Quello è il capitano di quella che loro ritengono la partita più bella della loro storia. Negli scatti delle loro bacheche, nel flash del loro momento di gloria ci sarà per sempre quest’ombra. E’ una fotografia, non un’interpretazione. E’ realismo e neorealismo, è Verga e Zavattini, non una sciarada fantasiosa, non Bunuel o Fellini.

Agostino Di Bartolomei ha alzato tre volte la Coppa Italia. L’ha alzata in un calcio dove sfidava i Platini, i Zaccarelli, gli Scirea, i Rummenigge, i Maradona. L’ha alzata con una squadra che aveva i Falcao, i Cerezo, i Conti, gli Ancelotti. I Maldera. Contro un calcio e in un calcio dove i Lulic non sarebbero mai potuti non solo diventare eroi per un giorno (privilegio fisiologico che prima o poi capita a chi per storia ha passato 11 anni in B e una settimana in C) ma nemmeno esserci.

Agostino Di Bartolomei ha alzato quella Coppa con una mano, perché con l’altra si teneva ancora il cuore che se ne stava andando via. Agostino Di Bartolomei non aveva le utenze intestate a Samantha, con o senza acca, ma a casa scriveva le regole per il Manuale del calcio per il figlio. Aveva un sogno Agostino: insegnare il pallone ai ragazzini e ai ragazzini dirgli soprattutto una cosa: “bisogna essere onesti e leali”. Non cercava scorciatoie, non aveva bisogno di ali. Agostino Di Bartolomei non ha mai alzato la Coppa in faccia a nessuno (semmai solo al cielo, l’unico specchio di Roma), non solo perché non aveva bisogno di farlo, ma perché dall’altra parte non c’era proprio nessuno.

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