Commissione disciplinare o “da” disciplinare? Il distinguo nasce spontaneo e una sorta di preteso buon senso si sovrappone agli ingranaggi giuridici. I sei mesi per la “sola” omessa denuncia a Mauri e il sostanziale non coinvolgimento della Lazio neppure per quanto attiene alla responsabilità oggettiva sono il frutto di un percorso difensivo che ha indebolito nell’ultimo tratto la maggior parte delle accuse di Palazzi. Le sentenze si rispettano, si possono commentare – è la settimana adatta – ma questo non serve a cambiarle. Resta, per un popolo di tifosi sempre più disincantato, l’imbarazzo per i comportamenti dei loro “beniamini”; se questo termine non suonasse sarcastico e non necessitasse di apposite virgolette, forse saremmo un paese che non ha bisogno di attendere spasmodicamente sentenze e appellarsi ai tribunali. Resta l’imbarazzo per chi crede, in termini di culto laico, in una passione che sempre meno corrisponde al mondo che la alimenta. Anzi, che dovrebbe alimentarla, in quanto la fede dei tifosi sempre più spesso si nutre di se stessa, si aggrappa ai simboli fidandosi sempre meno degli uomini, celebra la propria dedizione piuttosto che coloro che dovrebbero incarnarla. Poi i campionati ricominciano, una nuova stagione è sempre alle porte, come insegna Nick Hornby e la lancetta dei minuti che gira per novanta volte fa sbiadire ogni riflessione. C’è solo una cosa che i signori del pallone dovrebbero temere: che i loro comportamenti facciano aumentare la distanza dal popolo del calcio, facendoli apparire troppo piccoli persino a chi finora gli ha perdonato tutto.