Buffo il destino della seconda maglia, così come è buffo il suo tentativo di riscatto, almeno stando ai pareri che circolano sul web dopo la scelta definitiva. Per i romanisti di una certa generazione, la casacca bianca è stata il simulacro di eventi sfortunati, a cominciare dal maledetto sorteggio della finale di Coppa dei Campioni all’Olimpico del 1984. Il Liverpool si tenne il rosso, lo stadio era il nostro ma non poté essere casa nostra, come sembrava scritto dal destino. Maledetta burocrazia dell’Uefa e maledetta associazione di eventi e colori.
Senza ricordare come finì la serata che per molti di noi non è mai esistita (cit. Chicco Lazzaretti, “I ragazzi della Terza C”), è chiaro che da allora ogni partita importante alla quale la Roma s’è presentata di bianco vestita, è stata vissuta all’inizio come un qualcosa su cui pesava un pochino di inquietudine. Ovviamente, quando poi il risultato era positivo quest’inquietudine nessuno se la ricordava; se invece le cose alla fine non andavano come si sperava, in molti tornavamo a rivolgere un pensiero tutt’altro che affettuoso al colore della divisa da trasferta. E a ricordare il Liverpool, ovviamente. Forse era quest’ultima la vera maledizione di quella divisa: essere associata per sempre alla serata in cui ogni tifoso ha perso qualche anno di vita. Ora che è così bianca, così neutra fino a che i bordi non la riconsegnano a un patrimonio comune, così classica nel colletto che è riuscito meglio di quello della prima maglia, sembra rinata, come se si fosse mondata dai ricordi e dalle delusioni. Forse piace a molti perché incarna l’auspicio di una nuova storia, anche se lo stemma che le hanno cucito sul petto ancora si fa fatica a sentirlo nostro.
Paolo Marcacci