Cosa sta piacendo di Garcia? Più di una cosa, in verità: stile, cultura del lavoro, rapporti con lo spogliatoio e conseguente diplomazia nel pesarne le gerarchie. Discorsi ancora “embrionali”, per carità, visto che manca ancora l’amichevole – non per il costo dei biglietti – di Terni e poi ci si predisporrà all’inizio della stagione ufficiale, presentazione a parte. In attesa dell’esordio di Livorno, però, qualche piccola conclusione si può trarre sull’ex tecnico del Lille. Anzi, più che su di lui, sul modo in cui i media che più si occupano della Roma stanno “pesando” il personaggio e il suo modo di lavorare: Garcia è ancora schiavo di Luis Enrique e di Zeman. In che senso? Nel senso che si ha la sensazione che si parli di lui ancora come il terzo allenatore scelto dalla dirigenza americana per la Roma; non come l’allenatore della Roma e basta.
Frutto, questo, dei conflitti tra le tante correnti di pensiero che continuano ad animare il dibattito tutto interno al mondo giallorosso. Se si accenna al suo modo di considerare l’arma del possesso palla, non si può fare a meno di paragonarlo a quello cervellotico e ridondante di Luis Enrique; quando si accenna a un eventuale quattro-tre-tre come modulo di riferimento allora ecco che subito aleggia lo spettro zemaniano.
L’augurio che facciamo al tecnico della Roma, senza orpelli di similitudini con le precedenti gestioni tecniche scelte da Baldini e Sabatini, è di essere giudicato per quello che farà vedere la Roma da Livorno in poi, sperando che siano cose apprezzabili. Essere valutato solo in funzione di quello che vedremo e non per gli spettri del recente passato che potrebbero tornare ad aleggiare vorrebbe dire anche e soprattutto irrobustire la pazienza e l’attesa della piazza in caso di partenza non brillantissima. Lo scrive, non vi appaia come un controsenso ma come una prova di onestà intellettuale, uno che sarebbe stato felice di proseguire con Zeman.
Paolo Marcacci