(A.Pasini) – La mano dell’allenatore dunque, c’è davvero. La triplice prova della sua esistenza sta nel lavoro di Rafa Benitez, Rudi Garcia eWalter Mazzarri. Diversi per formazione e storia, i tecnici di Napoli, Roma e Inter hanno cambiato faccia alle loro squadre, dimostrando che — tra guru più o meno veri e apprendisti della prima ora — c’è ancora un fertile spazio di manovra per chi usa la logica e applica la regola numero 1 del manuale del mister perfetto: capire i giocatori a disposizione e fare meno danni possibili.
Per Benitez, in verità, la base di partenza era già piuttosto solida, non a caso lui stesso si è complimentato con Mazzarri per il lavoro fatto in passato. La svolta è stata però talmente netta che il rischio di una crisi di rigetto era molto alto. Rafa ha gestito la transizione in maniera straordinaria: il mazzarrismo di successo fatto di Cavanidipendenza, ripartenze feroci, alta tensione e pochi sorrisi ha lasciato spazio al possesso palla, a una manovra d’orchestra e a un approccio più light e rilassato, anche se non meno deciso del suo predecessore. Benitez aNapoli ha introdotto un nuovo modello di pensiero senza cambiare i risultati. Il contesto societario lo ha aiutato. All’Inter, dove nel 2010 la rifondazione post-Mourinho non gli era riuscita, no. Perché la mano dell’allenatore ha sempre bisogno di un club e di un ambiente che gliela stringano senza pregiudizi.
Per Garcia e Mazzarri, è stata tutta un’altra storia. Roma e Inter venivano da due campionati negativi (rispettivamente sesta e nona) e da due conduzioni tecniche contraddittorie e fallimentari. Nell’ambiente c’era sfiducia e i club in estate hanno deciso di giocare quasi d’azzardo: mercato di qualità ma tecnico-incognita per la serie A (in Francia aveva fatto benissimo) la Roma; mercato di basso profilo ma tecnicosicurezza l’Inter. Vie differenti per arrivare allo stesso esito: Roma e Inter sono due realtà forti di questo avvio di serie A e, grazie anche alla fortuna/sfortuna di non avere le coppe, minacciano di arrivare molto lontano. Garcia ha ricostruito sulle ceneri dell’era Zeman con una rosa che (persi Lamela, Marquinhos e Osvaldo) di certo non è più forte di quella di ZZ. Ma là dove il boemoaveva stressato l’ambiente, messo in dubbio i simboli (De Rossi) e minimizzato i punti fermi del romanismo e della romanità (il derby), il francese ha coinvolto la squadra (dialogo, comitato dei «5 saggi» in spogliatoio, obbligo agli stranieri di imparare l’italiano per creare un terreno d’intesa più ampio), ridato forza a De Rossi e, dulcis in fundo, vinto il derby dopo averlo affrontato (al contrario di Zeman che lo considerava una partita come le altre) con un memorabile manifesto: «Il derby non si gioca, si vince».
Come Benitez, Garcia è laureato in scienze motorie; come Mazzarri, sta rilanciando giocatori dati per persi (oltre a De Rossi, Balzaretti, Maicon e pure Borriello, poco impiegato ma molto coinvolto nel gruppo). In più, è bravo e moderno: ha un vice, Frederic Bombard, che segue il primo tempo in tribuna; con lui si consulta in un meeting nell’intervallo e poi apporta le correzioni necessarie. Morale? La Roma ha segnato tutti i suoi 10 gol nel secondo tempo. Perché la mano dell’allenatore non è mai sola. E una aiuta l’altra.
Anche Mazzarri all’Inter ha dovuto camminare sulle ceneri, con una differenza in più: la sua rosa, senza Cassano e con Milito convalescente, è persino più debole di quella di Stramaccioni. Il grande pregio del toscano però, da sempre, è il sapere far rendere i giocatori al 100%. Là dove in passato il modulo era ondivago, la condizione approssimativa e la fiducia del gruppo nella guida scarsa, ora il gioco è semplice e chiaro, i titolari sono fissi e presunti brocchi conclamati come Alvarez e Jonathan sono fra i migliori. Non solo: la difesa ex colabrodo (con Ranocchia e Juan Jesus lucidati) è diventata una certezza (1 gol subìto, la migliore, guarda caso proprio con la Roma) e il gol (mollezza del Sassuolo a parte) arriva con facilità. Mazzarri insomma, stakanovista del pallone, si conferma il navigato ristrutturatore-motivatore-miglioratore che serviva all’Inter. Per onestà di critica, va ricordato che un anno fa anche la squadra di Stramaccioni volava in classifica. Ma i Mazzarri’s sembrano avere spirito e prospettive nuove e migliori. Perché la mano dell’allenatore è anche una faccenda di esperienza.