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CORRIERE DELLO SPORT De Rossi si confessa: “Devo ringraziare l’Ostiamare e papà”

De Rossi

Dopo la stagione tribolata con Zeman è stato sul punto di salutare la Roma. A far cambiare idea a Daniele De Rossi, impegnato con la maglia dell’Italia nella doppia sfida a Bulgaria e Repubblica Ceca, è stato soprattutto il progetto affidato a Rudi Garcia  L’allenatore francese gli ha affidato le chiavi del centrocampo ed è stato ripagato con due ottime prestazioni, condite da un gol mancava da oltre un anno. Un digiuno lunghissimo, per “Capitan futuro”, che da piccolo aveva un eccellente fiuto del gol. «Quand’ero ragazzo giocavo attaccante, il cambiamento è stato lento – ricorda De Rossi, in un’intervista al sito dell’Uefa – Sono arrivato alla Roma da attaccante, poi sono diventato trequartista e centrocampista, la mia carriera è sbocciata quando Mauro Bencivenga (ex allenatore del settore giovanile) mi ha messo davanti alla difesa». (…)

PRIMI CALCI – (…) «Mi ha aiutato a velocizzare il gioco, ma soprattutto mi è servito tatticamente, perché posseggo i movimenti degli attaccanti, quindi magari li capisco prima quando difendo». I primi calci al pallone, De Rossi non li ha dati a Trigoria, ma nell’Ostiamare. «Quell’esperienza è stata importante – ricorda -. Si tratta di un club dilettantistico un po’ atipico, perché non è la classica squadra del paesino o della borgata – spiega – Ostia è una città di 400 mila abitanti, quindi è già una via di mezzo tra una squadretta e una società professionistica, come possono essere Roma o Lazio».

EMOZIONE TRIGORIA – (…) «Ricordo con grande emozione il primo giorno a Trigoria, ero un ragazzino – conclude – Ricordo il distacco dall’Ostiamare, i campi in erba, l’abbigliamento, gli scarpini nuovi. Tutte cose che mi facevano quasi pensare di essere entrato in una dimensione di ben’altra caratura, anche se poi il pallone era sempre lo stesso» .

DA ALBERTO A DANIELE – Ad aiutare De Rossi, nella crescita in campo e fuori, la vicinanza del padre Alberto, che allena la Primavera giallorossa: «Sicuramente anche il fatto di avere un padre che il calcio giovanile lo conosce, mi ha aiutato, perché non mi ha messo addosso pressione, stress per il risultato o il fatto di dover venire fuori per forza che hanno tanti ragazzini al giorno d’oggi».

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