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CORRIERE DELLO SPORT Numero 1 per tutti ma per Bianchi no

Totti e De Rossi

Che bella forza andare d’accordo con Totti. Quando gioca, illumina il campo e trascina la squadra con l’esempio. Quando va sotto la doccia, si fa i fatti suoi. Dopo vent’anni a Roma e con la Roma, potrebbe atteggiarsi a boss, gestire il potere all’interno del gruppo, ma a sentire i suoi compagni di ieri e di oggi, non ci pensa nemmeno. Gli interessa solo giocare, non perdere il posto che si guadagna in campo e durante la settimana. Uno così, lo vorrebbe qualsiasi allenatore, c’è da meravigliarsi se ora è scoppiato l’amore con Rudi Garcia? (…)

Francesco ha avuto nella sua straordinaria carriera una ventina di allenatori e, salvo un’eccezione, è andato d’accordo con tutti. Anzi chi l’ha allenato ha un ricordo di lui splendido, irripetibile e soprattutto, cosa fondamentale, un rispetto che non si concede a tutti. L’unico che non capì Totti, fu Carlos Bianchi, arrivato dopo le focose stagioni trasteverine di Mazzone. Totti aveva appena vent’anni, ma era già un talento purissimo e Bianchi provò a mandarlo alla Samp, sia pur in prestito. Totti già a quell’età aveva solo una maglia e le idee chiare: si rifiutò e convinse Sensi definitivamente, segnando due gol all’Ajax, in un torneo natalizio senza storia. Inutile dire che Totti rimase a Trigoria, Bianchi qualche mese dopo tornò in Argentina.

Francesco, per sua fortuna, ha avuto molti allenatori, quasi tutti, migliori di Carlos Bianchi ed è stato abile nell’adattarsi alle situazioni, nell’interpretare più ruoli. Boskov lo fece esordire a meno di 17 anni a Brescia, giusto per segnalare al mondo la nascita di questo campione. Poi ci ha pensato Mazzone a far crescere il ragazzino: bastone e carota, pochi elogi e molti rimproveri, un po’ in campo e un po’ in panchina, pochi riflettori, sino a sottrarlo alle interviste di rito. Superata la breve parentesi argentina con Bianchi, è stato decisivo l’arrivo di Zeman. Il boemo non vincerà mai uno scudetto, ma come maestro di calcio non scherza. Ha fatto di Totti, ancora tenero e fragile (…)

L’altro tecnico che ha cambiato la storia di Totti si chiama Luciano Spalletti: con lui, Francesco, a 29 anni, da inimitabile trequartista, si è trasformato in centravanti e goleador, al punto che oggi insegue il record di Piola. Spalletti non ha mai smesso di ammirarlo, ma forse per questo avrebbe preteso ancora di più da lui. Spesso, in quegli anni di calcio spettacolare, borbottava, si lamentava dell’indolenza del suo capitano, un limite caratteriale, un freno che gli negava vette ancora più alte. In realtà, Totti ha continuato a incantare e a far gol, sta per compiere 37 anni e non si intravede il declino.

Non lo intravede nemmeno Garcia, che lo ha messo al centro del suo progetto. L’anno scorso Zeman, appena tornato, andò a cena con il suo vecchio pupillo e la cosa piacque poco alla squadra. Garcia invece ha parlato con tutti, e a Trigoria non dall’oste; per Totti non ha avuto alcun riguardo, peraltro mai chiesto o preteso. Certo non ha fatto l’errore strategico di Luis Enrique, che ingenuamente lo mise in panchina nel precampionato: il francese ha intuito quanto vale e cosa rappresenta il capitano. Non ci vuole molto, in verità. Anche in nazionale Totti ha trovato i ct dalla sua parte. Sacchi fece appena in tempo a chiamarlo, quando era ancora un ragazzino; Zoff lo portò agli Europei, poi persi ai supplementari, facendone il fulcro della squadra; Trap lo definì il “mio Zidane”; sino alla splendida favola di Berlino, dove grazie alla testardaggine e alla lealtà di Lippi, Totti ha vinto un mondiale tre mesi dopo la frattura alla caviglia.

E volete che Garcia, dopo aver recuperato talenti come De Rossi e Pjanic, ora non stringa un patto di ferro con il suo capitano? Un patto che può solo far bene alla Roma.

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