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CORRIERE DELLO SPORT Roma e Napoli: belle, brave e prime

Dino Viola

(A. Maglie) – Cronache da un altro mondo. Ventiquattro anni fa. Immagini a colori ma non ancora in alta definizione. Calcio televisivo centellinato. Paolo Valenti che intorno alle 18 di domenica 24 settembre, leggeva la classifica: Roma e Napoli in testa, dieci punti, dopo sei giornate di campionato (a 18 squadre), con le vittorie che valevano due punti e la media inglese che recitava: +2 per i campani e +1 per i giallorossi. Era il 1989, anno di grazia straordinario per la storia dell’Europa visto che cadeva in frantumi il muro di Berlino. Scompariva anche l’attrice Olga Villi che aveva, in maniera molto indiretta, attraversato sia le cronache sportive che quelle musicali, avendo sposato Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo (e «inventore» con Gipo Viani del Calcio-mercato), suicidatosi dopo la separazione, ispirando con la sua vicenda umana e personale «Vecchio Frac», un’indimenticabile canzone di Mimmo Modugno ( «ha il cilindro per cappello, due diamanti per gemelli, un bastone di cristallo, la gardenia nell’occhiello…» ).

Dopo quasi un quarto di secolo, eccole di nuovo in vetta alla classifica, alla terza non alla sesta e, per effetto dell’aumento dei punti attribuito ai successi, a quota nove, una sola lunghezza in meno rispetto a ventiquattro anni fa. Squadre diverse, allenatori diversi. Il Napoli aveva in panchina Albertino Bigon (adesso, in società, c’è suo figlio, Riccardo). La Roma si era affidata a Radice. Sostanzialmente, «traghettatori». Perché dopo la controversa rottura con Ottavio Bianchi, Corrado Ferlaino, aveva deciso di puntare su un giovane tecnico che aveva fatto bene a Reggio Calabria e a Cesena. Dino Viola, invece, si era già accordato con Ottavio Bianchi ma non potendolo portare subito nella Capitale l’ex allenatore napoletano, aveva deciso di sistemare a Trigoria un professionista dal grande passato ma dal presente un po’ spento. Fece benissimo Bigon che vinse lo scudetto; fece molto bene Radice che arrivò sesto, si qualificò per la Coppa Uefa, rimanendo a contatto con il vertice della classifica sino alla perdita di un giocatore fondamentale, Lionello Manfredonia.  (…)

La sua carriera era terminata. E la Roma che era terza in classifica, a tre punti dal Napoli, pian piano fu costretta a ridimensionare le sue ambizioni. Quello fu un campionato stranissimo. Si giocava più che in veri e propri stadi, in cantieri. E se il Napoli era riuscito a non lasciare il immerso nei calcinacci San Paolo, la Roma venne costretta a «emigrare» al vecchio Flaminio. Il torneo finì addirittura ad aprile (il 29) perché il palcoscenico del calcio venne occupato dal Mondiale, quello delle «notti magiche inseguendo un gol sotto il cielo di un’estate italiana» , come cantavano Gianna Nannini ed Edoardo Bennato. (…)

Si giocava tutti alla stessa ora, di pomeriggio, la domenica. Il Napoli, era di scena a Cremona, la Roma si esibiva in casa col Cesena (allenato da Marcello Lippi). I lombardi limitarono i danni pareggiando contro i ragazzi di Bigon, addirittura accarezzando per quasi un tempo l’illusione della vittoria visto che al gol di Dezotti (portato in Italia, alla Lazio, da Calleri) al 43’ del primo tempo, Maradona era riuscito a replicare solo al 35’ del secondo. La Roma, invece, vinse: 1-0, rete di Desideri, al 18’ della ripresa. Era un Napoli decisamente «robusto»: davanti Carnevale, Careca e, soprattutto, Maradona; in mezzo al campo Alemao, De Napoli e Crippa; dietro Ferrara. La Roma, nell’attesa di Bianchi, non aveva fatto una grande campagna-acquisti ma poteva contare sempre su Nela, Giannini, Rizzitelli e Voeller. E se non avesse perso Manfredonia, probabilmente la classifica finale sarebbe stata anche migliore. (…)

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