(M. Evangelisti) – Questa è la settimana di James Pallotta. Quando arriva a Roma è appena mattina, forse neppure. La sera è appena venuta giù e lui ha già risolto la prima questione. Francesco Totti dice sì al contratto biennale, tutti festeggiano e vanno a brindare in un ristorante. Basta che Pallotta scenda dal suo aereo privato insieme con l’amico e consigliere Alex Zecca e il più è fatto. Zecca ha scattato una visuale della città dall’alto con l’Olimpico al centro e l’ha spedita in rete, nel senso che l’ha twittata e messa a circolare su Internet, con la didascalia «Siamo a casa». Sarà pure casa vostra, ma per cominciare è la nostra, di quelli che ci vivono da sempre. E poi è casa di chi da sempre fa il tifo per la Roma e naturalmente anche di quelli che fanno il tifo per la Lazio. Benvenuti, americani. Pallotta e i suoi uomini se vogliono prendere possesso del territorio dovranno sudarselo. Quindi è la loro settimana. Con un bel numero di spine in mezzo a rose e fiori di un approdo comunque piacevole, perché per quanto graziosa sia Boston con i suoi birrai e barbieri e maestri di scuola diventati monumenti all’indipendenza è pur sempre una città qualunque di fronte all’antica sacralità della metropoli che ha diffuso la civiltà moderna. (…)
IL RINNOVO – Ultimo veniva il contratto di Francesco Totti. «Quale contratto?». Quello che consentirà al capitano di giocare tranquillo fino a quarant’anni, lo porterà da calciatore alla fine del campionato 2015-16 per poi cooptarlo nel club dei dirigenti, benvenuto tra noi, ce ne hai messo di tempo, scusate, stavo giocando a pallone. Veniva ultimo, è diventato primo. E’ bastato che Pallotta atterrasse e parlasse. Tutto a posto, timbrano il contratto oggi davanti alla stampa schierata, ore 14 a Trigoria.«Abbiamo un patto da firmare? E speriamo di firmarlo, allora». Così parlò Pallotta, e decodificando equivaleva a dire che problemi al riguardo non esistevano. Però a forza di sostenere che non c’è fretta siamo arrivati alla quarta giornata di campionato, alle soglie dell’autunno, a una settimana dal 27 settembre, il giorno del 37º compleanno di Totti.
Pallotta sa rassicurare, convincere. Ed evidentemente era solo la parola del presidente che Totti aspettava per concludere un accordo a sostegno del quale aveva già rinunciato a molto di quanto pattuito, accontentandosi di 3,5 milioni all’anno, concedendo uno sconticino sull’ingaggio fissato per questa stagione. Non era necessaria la firma di Pallotta sul contratto. Era necessaria la sua presenza pura e semplice, perché Totti non è giocatore normale e meritava un gesto di rispetto degno di una leggenda ambulante. (…)
IL DERBY – Prima di tutto viene il derby, che arriva domenica in fondo a tutto, perciò è il punto di arrivo. «Sarà una bella settimana, perché non dovrebbe esserlo?», e questa è una speranza come tante altre. La Roma vive di speranze che Pallotta con rassicurante carisma riesce di tanto in tanto a tramutare in illusioni di potere.
Il 26 maggio ultimo scorso il presidente è arrivato con la fama di portafortuna ed è tornato a Boston con la patente di menagramo. Nella vita si vince e si perde. Lui di derby ritiene di averne persi abbastanza.«C’è un’atmosfera diversa, non trovate? Abbiamo avuto qualche cambiamento importante nello staff e soprattutto in campo». Hai voglia a dire che Pallotta sta ricreando la Roma a sua immagine e somiglianza, liberandosi di dirigenti in cui non si riconosce, ampliando i poteri di coloro che gli irpirano fiducia. Evidentemente gli accordi che lo hanno portato al vertice della società gli consentono di farlo. Da quando è presidente ha perso due derby e ne ha pareggiato uno. L’ultimo è quello che lo ha colpito lì dove fa male, nella stima dei tifosi nei suoi confronti, nei soldi persi con la mancata partecipazione all’Europa League, nei riti scaramantici prima della partita che hanno fallito tutti, intaccando la sua fiducia nelle magnifiche sorti e progressive che aveva previsto per la squadra di calcio scelta per fare un po’ di business. (…)
LO STADIO – Dello stadio non ha mai detto niente. Solo che si farà, che si deve fare. Che questa necessità occupa gran parte del suo tempo. «Ieri ci ho lavorato sopra sei ore». Dotare la Roma di uno stadio proprio, a costo di spenderci su 200 milioni di dollari, è il vero scopo di tutta la complessa operazione finanziaria che lo ha portato a dirigere la società. Non per buon cuore ma per denaro. Pallotta è convinto che il marchio Roma si venda nel mondo come l’acqua nel deserto, basta provarci. E che il marchio abbia bisogno di una sede fascinosa, carica di riferimenti storici alla grandezza del passato, di pietra e tecnologia, appoggiata su negozi e ristoranti. Vuole lo stadio. Non sarà qualche parere differente tra i suoi soci di minoranza a fermarlo. «Credo che le parole di Paolo (Fiorentino, il vicedirettore generale di Unicredit) siano state riportate in maniera inesatta. Lui ha parlato solo della difficoltà di costruire qualcosa a Roma. Non è cambiato nulla, stiamo andando avanti e lavoriamo sul progetto da 18 mesi. Io non avevo mai detto che avremmo presentato il progetto in un certo periodo o in un altro. Abbiamo piani importanti e proprio per questo vogliamo fare tutto per bene». Non ci saranno annunci in questo fine settimana, già abbastanza affollato per suo conto.