(F.Licari) Il cielo sopra Montecarlo è tempestato di calcio, non di gioielli della corona e casinò: lassù è il tetto del palazzo dove s’appoggia lo stadio Louis II, lassù la montagna della Turbie dove s’allena il Monaco. L’ultimo oligarca russo, Dimitry Rybolovlev, ha scelto un anno fa Claudio Ranieri, gentiluomo della panchina: il Monaco era in B ma sognava già la Champions. Una stanzetta con scrivania e tv, un centro sportivo piccolo tra le rocce, niente sbarramenti e formalità, giocatori tra i tifosi, il mare laggiù e l’Europa sempre più vicina. Il Monaco è primo in Francia, Ranieri è felice.
Perché il Monaco?
«Volevo costruire dalla fondamenta, dalla B, e chiudere un ciclo vincente: con la Juve è andata com’è andata, questa era l’occasione giusta. Troppe volte ho cominciato in corsa».
A Londra la chiamavano «il riparatore».
«Che si può interpretare in tutti i modi. Per me, positivo. Al Chelsea, senza spendere una sterlina, arriviamo in Champions. Abramovich altrimenti non avrebbe investito e il Chelsea non sarebbe qui. Un po’ di merito è mio».
Però arrivò Mourinho.
«Dissi subito all’amministratore: “Con il nuovo padrone, io e te saltiamo per primi”».
La voleva il Qatar, no?
«Ci sono stato, impressionante. Nel 2022 c’è il Mondiale, mai dire mai. Ma al Monaco la sfida è emozionante. Adoro mettermi in gioco. Come Parma, Inter, Roma, Juve. Dicono che non vinco: ricordano il momento in cui le ho allenate?».
Sempre più italiani all’estero: in fuga perché senza posto o richiesti perché bravi?
«La seconda. Buoni ultimi dopo olandesi, austriaci, tedeschi, ex jugoslavi. Non eravamo interessati e non c’entrano le gonne della mamma. Poi Trap al Bayern, Capello al Real, io al Valencia: un po’ pionieri. Un presidente mi fa: ”Voi italiani arrivate sempre due anni prima”. Una scuola di organizzazione, tecnica e passione. Con il Napoli avevo travolto il Valencia 5-1. Per avermi, raccontarono una piccola bugia: “C’è la scuola italiana per sua figlia”. Non c’era, Claudia restò a Roma».
Al curriculum manca una nazionale: Prandelli lascerà…
«Ho sempre detto: “Un giorno vorrei giocare Mondiali o Europei”. Ma ora non potrei rinunciare al campo quotidiano. Ho detto “no” in passato».
Oggi lotta con il Psg.
«Non possiamo paragonarci con chi ha vinto l’ultima Ligue 1 e perso in Champions con il Barça: il 22 lo sfidiamo a Parigi, chissà. Noi ci scopriamo ogni giorno, neopromossi e giovani. Ma con un obiettivo: almeno il 3° posto».
Differenze tra campionato italiano e francese?
«Quando giocano contro di noi o il Psg, dovrei dire nessuna: squadre attendiste, dietro la linea della palla e contropiede. Ma non è così. La distanza dall’Italia si è ridotta».
È perché noi siamo in crisi?
«In crisi di denaro. Ma ce la caviamo sempre. La nostra università apre ogni strada. I campioni cercano soldi, ma non mi pare che i tedeschi abbiano speso chissà cosa. Noi abbiamo sprecato i troppi soldi che avevamo. Ora tiriamo la cinghia e fuori le idee».
Se passeggia per Monaco?
«“Bravò!”, una foto e molta discrezione. Ho sempre abitato in centro: mai rinunciato a una vita da persona normale, al mercato con mia moglie. Anche nella mia Roma».
Parafrasando il coetaneo Baglioni, ’51 Testaccio e tutto cominciava…
«Roma è dentro, è tutto: un guscio. Da fuori l’ami di più».
Rimpianti per la sua Roma?
«A 30’ dalla fine eravamo campioni dopo una rincorsa stupenda, poi vinse l’Inter. Non sono andato via ma potevo, lasciando un bel ricordo. Mia figlia disse: “Papà, che fai, ci tradisci?”. Era mia figlia, il tifoso allora?».
Invidia Garcia?
«No, Garcia è bravo: magari nessuno pensa alla Roma che potrebbe essere la sorpresa».
Roma bellissima, ma violenta e/o razzista. Perché?
«Questa è la società: il calcio è il diaframma. Il romano è di cuore aperto, ti fa sentire a casa. La contraddizione è evidente, ci vuole pugno durissimo, ma non chiudere gli stadi per i 50 dei raid o dei “buu”. La verità? In Italia è tutto permesso perché nessuno paga mai. Non solo nel calcio».
Dal teppismo al fair play. Finanziario. Cosa le dice?
«Che il Real può spendere 100 milioni per Bale perché guadagna tanto. Ma come può competere il Monaco con in media di 5 mila tifosi? Non è giusto impedire di investire: può mai esserci divieto per un imprenditore? Importante che ripiani, che la società non abbia deficit né debiti».
Al Monaco chiedono di pagare le tasse come in Francia.
«Quando stava andando in C non ci pensava nessuno. Questa legge c’è da una vita».
Rybolovlev dopo Abramovich, per lei spesso proprietari oligarchi…
«Persona amabile, laureato, industriale. Rispetto ad Abramovich, meno fretta. Non ha detto “vinci” ma “entriamo nel top”. Seguivo James Rodriguez e Jackson Martinez. Lui mi fa: “Falcao non ti piace?”. Professionista superbo, mai una parola fuori posto. Gli attaccanti vanno dove sta la palla, invece la palla va da lui. Vedi un movimento, non capisci, ma la palla è là e lui lo sa».
La Juve voleva Kondogbia in prestito, voi avete pagato i 18 milioni: Italia-Francia è qui?
«Presidenti che pagano. In Francia ci sono, in Italia no».
Se uno straniero si presenta, vedi Thohir, cartelli contro.
«La dice lunga sul nostro provincialismo».
Champions: siamo distanti all’Europa?
«Sì, ma la Juve sta colmando il gap. Umiltà, ferocia, senza montarsi la testa. Un modello da seguire Conte e la società. L’avessi avuta io una società così alle spalle…».
Favoriti in Champions?
«Bayern e Barça, vediamo il possesso di Guardiola sotto il marchio tedesco. Dopo, il Real di Carlo e il Chelsea di Mourinho: prima di batterlo…».
Tutto chiarito con Mou?
«Da tempo. Non so l’inglese, ho 70 anni (ride, ndr)… è evidente che mi stima, è la tecnica per attaccare chi stima».
In Italia sempre Juve?
«Con Tevez sì. L’avevo chiesto in coppia con Falcao: goleador, gioca per la squadra, fa pressing anche in tribuna. La macchina perfetta per Conte, è il Conte dei giocatori».
Le altre?
«Vediamo se Kakà porta una ventata nuova al Milan. Mazzarri sta facendo un ottimo lavoro. Con Benitez, De Laurentiis ha fatto un colpo, si vede dal passaggio da cinque a quattro in difesa. Sì, cinque».
Un giovane che le piace?
«Montella. Da impazzire».
Toni bassi, alla Ranieri.
«Penso a chi ti guarda. Non possiamo dare sempre le colpe agli arbitri».
D’accordo con tecnologia e cinque arbitri?
«Sì alla tecnologia per gol fantasma e falli intenzionali. Cinque arbitri sì, ma a volte non vedono neanche in sei».
Una persona speciale?
«Mia moglie. Cominciai tra i dilettanti, il primo anno mi dimisi, il secondo mi mandarono via. Cominciai a dubitare. Mi vide che guardavo il calendario del Viareggio e disse: “Allora non smetti”. Era l’88… E poi il dottor Longo che mi prese al Cagliari: “Se alcuni mi parlano male di te, è perché sei una brava persona”».
In Italia i giovani soffrono.
«In questa situazione, non dico Juve e Milan, ma alcune piccole dovrebbero lanciarli di più. La gente capirebbe».
Dopo il francese, la prossima lingua che imparerà?
«Nessuna preferenza. Anche fuori dall’Europa».