(C. Fotia) – Il sindaco di Roma Ignazio Marino e il presidente del Coni Giovanni Malagò hanno tracciato una linea di contrasto alla violenza che si infiltra nel mondo del calcio assolutamente condivisibile. Ci auguriamo che tutte le istituzioni sportive e politiche la facciano propria. Marino e Malagò condannano senza se e senza ma l’agguato contro il pullman del Verona, che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche. Si tratta di un gesto criminale premeditato e compiuto da pochi delinquenti che devono essere assicurati alla giustizia, su questo non ci piove. Sia che si tratti, come sembra, di due ragazzini che fanno una bravata, sia che si stia di fronte a un atto teppistico premeditato. Ma condannare non basta se non si individuano efficaci linee di condotta in grado di restituire al calcio la dimensione di una passione popolare, pulita, civile.
Marino e Malagò rifiutano giustamente l’identificazione di tutta una tifoseria e di un’intera città con il singolo gesto folle avvenuto dopo la partita e lontano dallo stadio e chiedono che i responsabili siano individuati e puniti ma che, nel contempo, si lavori per restituire al calcio quella dimensione di festa popolare e pacifica che è l’unico vero antidoto alla violenza. Detto questo, la criminalizzazione dei tifosi (o addirittura dei romani, come in un primo tempo sembrava voler fare il sindaco di Verona Flavio Tosi) non solo è ingiusta, ma anche inefficace. L’agguato al pullman è avvenuto lontano dallo stadio ad opera di qualcuno che conosceva il percorso che avrebbe compiuto, quindi non si può ascrivere ad una reazione “emotiva” (per altro del tutto incomprensibile visto che la Roma aveva vinto la partita). Dunque, qui si tratta di individuare chi e perché l’ha fatto. È compito delle forze dell’ordine e della magistratura indagare e darci una risposta. I gruppi che usano lo stadio e il calcio come occasione di predicazione e pratica della violenza vanno estirpati con tutta la forza necessaria, con gli strumenti della legge e del diritto.
Questo attiene alla responsabilità delle forze dell’ordine e degli inquirenti, Tutto il resto, ed è moltissimo, spetta al mondo del calcio e alle istituzioni, all’informazione. Non possiamo ignorare che l’emarginazione sociale provocata dalla crisi economica spinge molti giovani a comportamenti violenti (spesso anzitutto contro se stessi) e gli stadi, essendo tra i luoghi più frequentati dai giovani, sono come una spugna che assorbe i miasmi della disperazione sociale. Non sto invocando una spiegazione sociologica per giustificare comportamenti ingiustificabili. Voglio dire che servono iniziative concrete e diffuse sul territorio, occorre che il calcio, e lo sport in generale, diventino veicoli di quei valori positivi che essi possono trasmettere. L’idea del gioco di squadra e quindi della cooperazione solidale, del rispetto dell’avversario, della lotta contro ogni forma di discriminazione a cominciare da quella razziale.
I pochi deficienti che indirizzano i loro cori beluini contro i giocatori di colore o usano la parola “ebreo” come fosse un’insulto, possono essere sconfitti solo da una reazione corale, da un diffusione negli stadi, nelle scuole, nelle università, nelle periferie degradate, di valori di segno opposto; da una lotta senza quartiere alla corruzione nel mondo del calcio, al doping che falsa i risultati, al prevalere del business e della logica della vittoria a ogni costo, dall’affermarsi della lealtà e del rispetto. Il mondo dello sport è pieno di esempi positivi che possono dar corpo a un’etica dello sport che contrasti razzismo, ignoranza, violenza. Noi saremo in prima linea in questa battaglia, difendendo i diritti dei tifosi per bene che sono la stragrande maggioranza, ma chiamando anche loro a un’assunzione di responsabilità. Intanto, rilanciando l’idea del sindaco Marino di fare del prossimo derby una grande festa dello sport, popolare e non violenta. Roma non è un covo di violenti, dimostriamolo insieme, romanisti e laziali, il prossimo 22 settembre.