(D.Giannini) – Rudi Garcia ha conquistato tutti. Ha conquistato i critici, ha conquistato i tifosi, ha soprattutto conquistato i suoi giocatori. Lo ha fatto con la forza delle sue idee calcistiche, certo, ma anche con quella delle sue parole. Che senza i fatti, senza i punti, rimarrebbero (appunto) solo parole. Ma che appoggiate su una solidissima base fatta di 12 punti in 4 partite, di 10 gol fatti e uno solo subito, danno una dimensione differente al personaggio Garcia. Creano attorno a lui un’atmosfera particolare, un fascino tutto suo. E’ arrivato da pochi mesi eppure ha capovolto il mondo Roma. Ha trasformato la depressione in esaltazione, ha fatto di un elenco di giocatori frastornati un gruppo unito, una squadra. Lo ha fatto anche con le sue frasi. Che restano in mente, che coinvolgono, galvanizzano.
L’ultimo weekend, il più atteso, il più importante, il più sentito, è stato in questo senso un concentrato del Garcia-pensiero. Una, due, tre pillole piene di energia vitale che hanno prima caricato, poi inorgoglito e infine quasi commosso l’ambiente romanista. Aveva iniziato nella conferenza prepartita sintetizzando il modo in cui lui si avvicina e vive le stracittadine:«Il derby non si gioca, si vince». Non l’ha solo detto, l’ha anche fatto. Ha vinto, ha stravinto, ha battuto la Lazio proprio come aveva annunciato al mondo che lo avrebbe fatto. Con pazienza, aspettando il loro calo. Il toro prima fiaccato e poi matato. Ma il meglio lo ha riservato per il dopo, per quando gli hanno chiesto se questa vittoria è stata la più emozionante per lui. Una smorfia e il detto francese che già tutta Roma ripete: «Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio». C’è tutto in questa frase che vale più di mille parole, c’è il senso di aver ristabilito il naturale ordine delle cose, c’è la ferita nell’orgoglio dei romanisti che si cicatrizza in un istante.
Dalle telecamere di Sky parla al mondo, Garcia, dice a tutti che è così che funziona, che è normale che la Roma vinca i derby, che si dovranno abituare a vederla là davanti. Poi, in maniera più intima parla a quella che è diventata la sua gente: «Voglio dire una cosa ai miei tifosi: che adesso mi sento uno di loro. Mi sento romanista». Da applausi, da far scendere le lacrime con la sua elegante e raffinata semplicità. Un Garcia filosofo ma anche psicologo, che ha saputo conquistare tutti i giocatori, i nuovi e i vecchi, i giovani e i veterani , su tutti quelli con un peso specifico enorme dentro lo spogliatoio. Come De Rossi, che proprio ieri ha raccontato quando ha capito che Garcia ha qualcosa di diverso: «Ho capito che c’era qualcosa di interessante da scoprire sull’allenatore quando ha difeso in maniera forte e pubblica Osvaldo. Anche i sassi sapevano che voleva andare via, ma lui si è preso la responsabilità di difenderlo. I nostri tifosi erano arrabbiati e delusi, ma l’allenatore che mette il gruppo prima di tutto è importante».
Garcia il duro è uno che i tifosi liabbraccia li porta dalla parte della Roma, ma che non ha paura ad andare contro, come fece contestando i contestatori quando la stagione doveva ancora cominciare «Chi contesta la Roma non è tifoso della Roma. Al massimo è della Lazio». Boom. Una bordata, che fece discutere ma che mise subito in chiaro la personalità del nuovo allenatore. Che giù lassù, tra i monti della Val Pusteria stava mettendo le basi della riscossa romanista. I 12 punti su 12, il derby vinto e tutto quello che verrà è cominciato lì. Così come lì ha cominciato a giocare la Roma. Perché si può avere carattere, ma senza risultati e punti anche le frasi più belle sarebbero state sovrastate dalle critiche. E invece Garcia convince e vince. Numeri spaventosamente belli quelli della sua Roma che segna senza far tirare mai gli avversari. E non è un modo di dire. Mai significa mai.
Tanto che De Sanctis per il momento ha potuto dare il suo contributo alla causa solo in termini di personalità e di presenza. Ma parate poco o nulla. Nel caso della Lazio nulla davvero. Non si ricorda una loro conclusione nello specchio anche se nelle statistiche che la Lega di Serie A pubblica dopo ogni partita, una ne risulta. Difficile risalire a quale fosse. Per il resto i numeri testimoniano un dominio schiacciante contro ogni avversaria, in ogni settore del campo, sotto qualunque aspetto. Una squadra in cui tutto sembra funzionare, una squadra nella quale l’eroe per caso Balzaretti, a ben vedere non è niente affatto per caso. Non può essere un caso se l’uomo derby è tra i “recordmen”, cioè tra i primi 4 della Lega, in tutte le categorie possibili. E’ terzo nelle palle recuperate (16) dietro a Cana e Castan. E’ quarto nei passaggi riusciti in cui ci sono solo romanisti (Strootman 63, De Rossi 58, Totti 57, Balzaretti 56). E’ addirittura secondo nei tiri (3) dietro solo a De Rossi.
Più in generale è una Roma che nel derby ha dominato più di quanto non dica il 2-0 finale. Basta scorrere in rapida successione tutte le cifre del match. A cominciare dal possesso palla, anche stavolta nettamente tinto di giallorosso (60% a 40%). Ma non è mai un tenere la palla fine a se stesso. La Roma gioca come il gatto col topo, lo sfinisce chiudendolo nella sua metà campo, nella sua area (8 calci d’angolo a 3). E poi tira, tanto, dappertutto (18 di cui 6 nello specchio contro 9 di cui 1 nello specchio degli altri), con gli attaccanti, coi centrocampisti, coi difensori.Partecipano tutti alla manovra (667 passaggi contro 405) e gli errori sono davvero pochi (74,9% di passaggi riusciti contro 57,6%). Una Roma che ha supremazia territoriale (11’40’’ contro 7’52’’) che protegge meglio l’area (65,1% contro 45,3%), che attacca meglio la porta (54,7% contro 34,9%). Una Roma che in poche parole è stata molto più pericolosa della Lazio (73,3% contro 27,1%). Basta? Per battere la Lazio è bastato e avanzato, così come è bastato e avanzato per avere la meglio su Livorno (che contro la Roma era una squadra da buttare e che ora ha 7 punti), Verona (che ha dato filo da torcere alla Juve) e Parma. La prova del nove arriverà contro le grandissime, o forse prima. Forse arriverà già domani a Genova dove non ci vuole nulla a calare di concentrazione per poi mordersi le dita per l’occasione sprecata. E allora nei quasi due giorni che mancano alla sfida con la Samp servirà di nuovo tutta l’opera di Garcia. Il Garcia tattico, il Garcia tecnico, il Garcia psicologo e pure il Garcia filosofo. Perché ora che la chiesa è stata rimessa al centro del villaggio, non resta che rendere l’una e l’altro meravigliosi.