(L. Di Bartolomei/C. Sandri) – Il derby è competizione non cattiveria. Chissà se Edward Stanley, dodicesimo conte di Derby, si sarebbe mai immaginato questo epilogo. Chissà se quell’impettito Lord (dalla cui famiglia discenderanno diversi sindaci dell’orrida Liverpool) si sarebbe mai immaginato che un giorno quella parola avrebbe diviso famiglie, amori, amicizie, città e persino Roma. Qui, nell’Urbe, la raffinata immagine di una corsa fra gentiluomini nella campagna inglese ha ceduto il passo, da qualche tempo, ad almeno due settimane di rumore all’anno.
Dalle radio delle auto incolonnate ai semafori, dai bar con i giornali aperti sulla pagina sportiva, dalle conversazioni dei camminanti per strada, ci viene raccontato tutto quello che accadrà – o meglio che potrebbe accadere – domenica. Duecentotrentatre anni dopo la prima gara fra gentiluomini a cavallo, 20 prima che Totti smetta di giocare, domani, si disputerà un derby. Una partita di calcio. Uno spettacolo sportivo.
Adesso so che avrei dovuto scrivervi altro. Raccontarvi di quanto mi ancora mi rode la sconfitta nella finale persa con la Lazio. Raccontarvi di come si vive la settimana del derby in casa mia. Lo so; ho deciso di non farlo. Sono in ansia per la partita ma sono più preoccupato per ciò che si muove intorno allo stadio e ai ragazzi delle tifoserie. Domani la partita sarà preceduta da due cortei di tifosi – al momento non autorizzati – e negli ultimi giorni il clima attorno allo stadio si è immotivatamente acceso. C’è da augurarsi che tutto vada bene: che i tifosi veri entrino serenamente, che i cattivi maestri rimangano a bocca asciutta e che il lavoro delle forze dell’ordine possa essere tranquillo, una volta tanto. Adesso starete pensando che sono il giovane che vuol fare il maturo e che è ingabbiato nel personaggio di Ago: boh, forse si, forse no ma anche di questo devo dirvi è per me di poco interesse.
Ciò che mi interessa è ricordare ogni volta che ne ho l’opportunità – a costo di essere stucchevole – è che il calcio è uno sport e che andare allo stadio dovrebbe essere una festa.
Non molto tempo fa durante una presentazione del libro di Ago, incontrai un tifosissimo di una sessantina di anni: Ennio. Abitava poco più in là dei miei nonni paterni. Ogni tanto gli capitava di andare in quattro allo stadio per vedere la partita insieme. E capitò anche una domenica di derby. Due genitori e due figli. Tre romanisti e un laziale. Accade anche oggi per fortuna.
Non credo che il calcio dei decenni passati sia stato migliore di quello di oggi: scandali, doping ed episodi di violenza c’erano anche allora. Non capisco però perché il calcio di oggi non voglia e non possa essere migliore. Forza Roma.
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Cari tifosi, per l’ennesima volta ci ritroviamo a giocare un derby che in qualche modorichiama direttamente il ricordo di mio fratello Gabriele. Infatti domani sarà il suo compleanno e il mio personale augurio è che la Lazio possa fargli un bel regalo.
Per quanto mi riguarda, saranno i ragazzi di Bari a farmene uno altrettanto grande. Proprio domani, in occasione della festa di mio fratello, hanno organizzato la giornata della donazione di sangue presso il Policlinico del capoluogo pugliese, seguendo la scia di altri gruppi donatori volontari nati per onorare la memoria di Gabriele con un gesto semplice, ma esemplare. Personalmente non riesco ancora a rivivere questa passione nello stesso modo in cui riuscivo a condividerla con lui, ma il mio dna biancoceleste in queste occasioni riemerge consolidando ancor di più quel senso di appartenenza che contraddistingue noi tifosi della Lazio. Sono rimasto colpito, vedendo il derby di Genova – in una partita altrettanto sentita – da uno striscione esposto a Marassi dai tifosi della Samp: «Avversari la domenica, fratelli nella vita».
Questo dovrebbe essere il punto di partenza con cui approcciare una partita del genere. Negli ultimi giorni si è paventata l’ipotesi – in caso di incidenti – di far giocare il derby in un’altra città. Il mio convincimento è che con i divieti e la minaccia di portare il derby da un’altra parte, non si possa arrivare a una soluzione risolutiva. Non è possibile mettere in stato d’assedio un’intera città per una partita di calcio Non si risolve il problema svuotando la Tevere, oppure consentendo l’ingresso unicamente bambini, donne e persone anziane. Personalmente ascolterei i diretti interessati – ovvero i tifosi – per confrontarsi sentendo le loro proposte. In Europa, l’Uefa ha previsto un apposito ufficio di competenza per ogni club dedicato ai rapporti con le proprie tifoserie. In Italia, i rapporti con la tifoseria sono vietati.
Credo che il dialogo sia l’unica via d’uscita. È necessario riscoprire e riaffermare valori importanti, senza falsi moralismi e ipocrisie accompagnate dai soliti luoghi comuni. Sarebbe opportuno accrescere la cultura sportiva iniziando a educare i più piccoli, insegnando loro a rispettare l’avversario che – come amava sempre ripetere il presidente della Polisportiva Lazio Renzo Nostini – non sarà mai un nemico, ma unicamente un antagonista sportivo. Purtroppo anche questo derby per i motivi che ho detto all’inizio di questa lettera, lo vedrò in tv con mia moglie, accesa tifosa romanista, e mio figlio Gabriele. Lui avrà facoltà di poter scegliere unicamente una squadra. Altrimenti potrei avviare le pratiche del divorzio. Ai miei amici della Roma, che non vedono l’ora di sfottermi, auguro buon divertimento. E Forza Lazio.