(U. Trani) – In poco più di due mesi, e la rapidità è il segnale più incoraggiante, Garcia e i giocatori scoprono di essere un’unica entità. Sono la Roma. Loro e basta. Perché da lì, dall’unione, sia il francese arrivato da Lille che i calciatori (i vecchi soprattutto), sapevano bene di dover ripartire dopo due annate fallimentari. Fare blocco in campo e nello spogliatoio. Nella vita di tutti i giorni che è quella di Trigoria e non fuori. Una squadra che è blindata quando lavora. Per una questione di concentrazione e di riservatezza. Perché lì dentro deve stare solo il gruppo, attento e concentrato durante anche l’allenamento più breve. Si può sbagliare e parlare, si può crescere e faticare. Si può pure discutere, senza mancarsi di rispetto, e chiarirsi. Restando, però, lontano da sguardi curiosi e da intrusioni pettegole. Rudi chiede questo. Per vincere..
AL DERBY DA CAPOLISTA
Facile scherzare sul sergente Garcia che, dopo la terza vittoria di fila, ha comunque annullato l’allenamento di ieri per premiare la squadra con un giorno di vacanza. Non fa niente se domenica c’è la Lazio. Ci voleva, però, uno che mettesse regole inequivocabili per giovani e senatori. Le multe ci sono da sempre in ogni club. Il francese sa di averle a disposizione, ma nel suo modo di dialogare punta dritto al cuore di ogni interlocutore: o con lui o subito fuori. E’ stato diretto con tutti, in pubblico e in privato, fin dal primo giorno. Senza guardare in faccia nessuno. Che poi ci sia il comitato dei saggi, come quando allenava in Francia, fa parte del suo modo di confrontarsi con i calciatori. Gli serve per avere più pareri e conoscere i diversi punti di vista. Rudi non si piega. Detta le norme, basta rispettarle. Si apre con ogni singolo per sapere. Anche sui suoi metodi. Resta tutto a quattr’occhi. I calciatori hanno capito subito e si fidano. Non li tradirà mai.
NIENTE BLUFF
Garcia ha la sua Roma e i giocatori la conoscono. Per dieci undicesimi è quella. Cambia di solito un attaccante. E’ successo a Livorno: dentro Borriello e fuori Gervinho (Ljajic era ancora a Firenze). Contro il Verona, titolare l’ivoriano e non il centravanti in quel momento sul mercato. A Parma il serbo dall’inizio. Le altre due punte: Totti e Florenzi. In difesa nessun cambio. A centrocampo Strootman fuori alla prima solo perché infortunato. Con una formazione base è più semplice per tutti. Per chi deve conservare il posto e per chi deve conquistarlo. Così ottiene il massimo da chi gioca e da chi aspetta. Sedici uomini utilizzati: oltre a Gervinho e Borriello, insieme in panchina a Parma, Bradley è partito una volta titolare, mancando Strootman, e un’altra è subentrato, due ingressi a testa per i brasiliani Marquinho e Taddei. E sei giocatori in gol, unica in A.
IL SISTEMA DI GIOCO
Insiste con il 4-3-3, anche se rispetto a come lo voleva in Francia ora prevede una linea a quattro più bassa. Per dare certezze dietro. La difesa, un gol, è la migliore del torneo insieme con quella dell’Inter. Lascia, invece, libertà a centrocampisti e attaccanti: possono scambiarsi le posizioni. Inizialmente a Parma, in fase di possesso palla, Pjanic saliva dietro a Totti: 4-2-3-1. Ma per essere equilibrati, copertura con il 4-1-4-1. Automatismi. Sono scontati per chi, tatticamente, chiede ordine e disciplina.
IL RUOLO DEL VICE
Bompard, senza più chiamarlo al telefono come accadde nel finale del primo tempo a Livorno, deve dargli proprio una bella mano. Perché la Roma si materializza sempre dopo l’intervallo e dopo che i due si sono scambiati le idee sul primo tempo. Otto gol su otto nella ripresa. Sette dopo aver fatto la prima sostituzione, mirata al successo. Solo la rete di Florenzi al Tardini è venuta quando in campo c’era ancora la formazione di partenza. E qualche azione, delle tante provate e riprovate in allenamento, per colpire nel punto debole l’avversario. Totti, due volte (gol compreso), Gervinho e Borriello a giocare al limite del fuorigioco: la linea del Parma è alta. Sembrerà strano, ma dopo due stagioni orribili, a Trigoria si studia per vincere.