Non c’è nulla di meglio del “burocratese” per raffreddare sogni e passioni. Non c’è niente di più evasivo delle parole di un politico per definire una situazione della quale si è capito tutto , ma su cui nessuna delle autorità che hanno o dovrebbero avere voce in capitolo sceglie di pronunciarsi con chiarezza.
Avrete capito che stiamo parlando della questione-stadio; attenzione: non dello stadio inteso come traguardo e/o come progetto, ma del volume di chiacchiere, spesso profuse con gratuità, che in questi mesi ci hanno ronzato nelle orecchie. Più erano vaghe e poco circostanziate, più i toni erano roboanti e forieri di scenari grandiosi. È sempre così, quando la propaganda è fine a se stessa.
Non che non si fosse capito che si stava parlando ancora di un nulla ben impacchettato, con Alemanno che diceva che anche a piedi si sarebbe precipitato a Trigoria per dare il solenne annuncio. Si era sotto le feste natalizie, ricordate? Ora, a parte che anche quel giorno l’ex sindaco viaggiò col massimo delle comodità, molti di noi non capirono cosa ci fosse da annunciare, così come faticammo a capire quali dati certi contenessero le conferenze tenute oltreoceano con Parnasi, costruttore designato, a fungere da guest star.
Abbiamo invece preso atto, proprio oggi, di tutto ciò che troppo bene ci era parso di capire e che se provavamo ad accennare ci faceva piovere addosso l’accusa di disfattismo: lo stadio della Roma è ancora oggi un miraggio che balugina, per chi vuole crederci, oltre la linea di un orizzonte che a Roma è lo stesso di sempre: burocratico e burocratizzato, oltre che burocratese nelle espressioni.
Già prima di oggi chi voleva illudersi di vedere il nuovo impianto doveva presumere di sé una certa longevità; dopo le parole di Fiorentino e di Ignazio Marino chi vuole immaginarsi su spalti che non siano quelli dell’Olimpico deve credersi Highlander.
Paolo Marcacci