L’ex difensore della Roma, Vincent Candela, compie oggi quarant’anni. Ecco le sue parole rilasciate oggi durante un’intervista televisiva al canale tematico romanista.
Quaranta anni: sono tanti o pochi?
“Una via di mezzo. Non mi piacciono le vie di mezzo ma ancora ho un po’ di tempo davanti ed è stato tanto bello dietro. Non mi piace parlare del passato, mi sono goduto tante cose, la metà a Roma perché sto qui da 17 anni. Grazie a questa città, ai tifosi, al presidente Sensi”.
Sono passati quasi 5 anni dalla tua partita di addio: ti manca il calcio?
“Ufficialmente ho lasciato il calcio nel 2006-07, ufficiosamente nel 2003, 2004, 2005 ma già quando sono andato via da Roma avevo staccato con la testa. Come tutti i mestieri, si fa quando c’è ancora la passione e la voglia. Poi ho riprovato, e ancora oggi è la mia passione, ma avevo smesso prima con la testa”.
Ti manca il calcio?
“Il calcio è stata la mia vita. Non mi manca, con gli amici gioco una volta a settimana e mi diverto lo stesso, come prima. Vado allo stadio e vedo i miei colori, la mia squadra. Mi sono adattato alla mia nuova vita”.
Nove anni dalla tua ultima stagione alla Roma ma i tifosi ti ricordano ancora con affetto…
“Ringrazio tutta la gente. E’ vero, ho avuto sempre un ottimo rapporto con la gente, con i tifosi. Nulla accade per caso, ho anche seminato bene. L’uomo va al di là del giocatore: a Trigoria era difficile che non mi fermassi sia prima che dopo l’allenamento perché sono fatto così”.
Gli viene poi mostrato un video con gli auguri di alcuni tifosi:
“I tifosi hanno capito che anche io sono attaccato a loro e a questa città. Nel mondo del calcio ci sono tante chiacchiere e pochi fatti. Sono quasi venti anni che vivo qui. I miei figli sono nati qui, mia moglie è di Roma”.
Cosa ti ha colpito di questa città?
“La conoscono in tutto il mondo: la storia, la grandezza, la gioia e la generosità di questa gente. Anche il casino, perché a volte mi arrabbio pure perché su qualche cosa siamo in ritardo rispetto ad altre città però tutto questo fa la bellezza di Roma e della gente di Roma. Quello che mi ha dato Roma nessun altro me l’ha dato”.
C’è qualche scelta del passato che cambieresti?
“Il giorno della partenza da Roma: dopo aver conosciuto uno stadio come quello di Roma, i giocatori con cui ho giocato, sarebbe stato difficile farmi ritornare la passione che ho conosciuto qui. Er troppo tardi però, infatti ho giocato solo altri due anni e poi ho smesso. Ero però anche più giovane e incosciente e va bene così”.
Com’è entrato il calcio nella tua vita?
“Da bambino: da quando avevo 5 anni sono stato sempre con il pallone. Sono cresciuto così non con l’idea di giocare con la Roma perché non pretendevo tanto. Ho vissuto giorno dopo giorno, non mi facevo troppe domande”.
L’Europeo del 1984 si dice che sia stato importante per la tua generazione…
“Tutti quei giocatori, tra cui Platini, erano un esempio per me. Non dimentico certamente le mie radici, nonostante io abiti qui a Roma, ed è importante quello che abbiamo fatto con la Nazionale nel 1998 e nel 2000”.
Com’è nata la storia con la Roma?
“Mi hanno contattato Bianchi e il generale Di Martino. Il campionato italiano all’epoca era il più duro, il più bello, il più ricco e affascinante, per cui non ho avuto dubbi, nonostante avessi due offerti anche da Psg e Marsiglia, di cui sono stato sempre tifoso”.
La scelta di portarti a Roma è stata l’unica cosa buona fatta da Bianchi a Roma…
“Nessuno ha una vita perfetta. Lui ha tanti pregi e tanti difetti. A Roma non ha fatto bene ma fa parte anche lui del mio cuore. Mi ha scelto e ho risposto subito presente”.
L’impatto con la città?
“E’ stato subito positivo. Ero giovane e mi adatto subito facilmente io. Era un periodo difficile, non andavamo bene ma ho conosciuto i vari Cervone, Carboni, Fonseca, tutta gente importante e ho imparato subito poi con Zeman è andato molto bene sia con i tifosi che con la squadra”.
I giornali ti davano per partente prima dell’arrivo di Capello, era vero?
“Era vero perché Zeman non mi voleva più, litigavamo spesso per non dire ogni giorno. Di lui ho un bel ricordo, ci faceva divertire in campo, però ero un giocatore un po’ cacacazzi. Litigavamo sempre per i gradoni, per la corsa, per i cambiamenti, per la difesa e lui preferiva io andassi via, così da stare più tranquillo. Non ero uno che si teneva le parole e parlavamo spesso. La Roma quindi mi mise sul mercato”.
Era vero che avevi portato delle bottiglie per festeggiare il tuo addio e Capello te le fece richiudere?
“Sì, ma non per festeggiare ma per riangraziare. Poi i giornalisti interpretarono diversamente. Era per ringraziare i miei compagni, i miei tifosi: non volevo partire di notte ma ringraziare tutti. Poi arrivò Capello che non voleva la mia partenza”.
Tu volevi ringraziare tutti, qualcuno invece è scappato di notte in macchina da Roma…
“Ognuno fa come vuole. Per me questo era il modo naturale di ringraziare chi mi ha fatto crescere poi fortunatamente è arrivato Capello che cambiò i miei programmi”.
Prima di iniziare la stagione dello scudetto, quanto credevate di poter vincere?
“La squadra era molto forte, avevamo tutte le carte in regola per lottare fino alla fine. Basti pensare a Batistuta, Cafù, Aldair, Samuel, Tommasi, Zanetti, Montella e poi il Capitano. Avevamo la consapevolezza di essere forti ma è il campo a fare la differenza. Non dimentichiamo poi i giocatori in panchina, come Nakata o lo stesso Montella che era spesso in panchina, oppure Di Francesco, Mangone, Lupatelli, Rinaldi. Lo ricordo come se fosse ieri, era un bel gruppo unito e questo ha fatto la differenza”.
Quando avete di capito di poter vincere?
“Purtroppo alla fine. Forse il 2-2 a Torino contro la Juventus non era da poco ma fino alla fine abbiamo avuto non dico la paura ma l’incertezza. Dovevamo per forza vincere l’ultima per vincere lo scudetto”.
Hai dormito prima di Roma-Parma?
“Poco, nonostante sia uno sereno. Quella sera abbiamo parlato fino a tardi, abbiamo giocato a biliardo perché era difficile pensare ad altro. E’ stata una giornata faticosa prima di entrare in campo”.
Quella Roma secondo te ha vinto troppo poco?
“Sì, potevamo vincere anche l’anno successivo. Erano arrivati due-tre acquisti importanti, come Cassano o Panucci. L’armonia però è importante dentro un gruppo. Non dico non ci fosse più armonia ma avevamo anche vinto e ci siamo forse un po’ rilassati. Non abbiamo festeggiato solo una sera ma tante, ed era giusto, ma l’anno successiva avremmo potuto vincere. Mi ricordo il pareggio contro il Venezia, tante partite buttate per superficialità”.
Con la Francia sei stato campione del mondo nel 1998 e campione d’Europa nel 2000. Cosa ricordi di quelle esperienze?
“E’ un ricordo unico, difficile da descrivere. Ho tutto dentro di me, me lo ricordo a memoria, un milione e mezzo di persone nelle Champs Elysee. Su venti giocatori eravamo quindici amici, quindici uomini veri”.
Più forte Zidane o Totti?
“Me lo chiedono tutti da sempre. Sono due amici, due campioni e due uomini veri anche se diversi. Uno magari più elegante quando accarezzava il pallone, l’altro più sveglio e con più gol. L’intelligenza di Francesco va oltre tutto, già sapevo dove sarebbe andato il pallone prima che arrivasse. Zidane era più elegante e raffinato. Sono comunque due amici, non ho mai pensato a chi fosse più bravo. Avrebbero potuto giocare anche assieme, con due fenomeni non c’è problema”.
Tutti si ricordano il gol a pallonetto contro la Lazio quando giocavi a Udine
“Sì, l’unico contro la Lazio. Non ci sono mai riuscito con la Roma. Ho fatto un pallonetto a Peruzzi, uno dei più forti al mondo ed è stata una bella soddisfazione. E’ sempre un piacere, pur non mancando mai di rispetto, è stato sempre un ulteriore stimolo segnare contro la Lazio”.
Si dice che la vita inizi a quaranta anni…
“Sono cresciuto un po’ ma la vivo come la vivevo a quaranta anni. Ancora faccio quel che mi piace fare. Guardo le partite, le commento, parlo alla radio, faccio il contadino, ogni tanto con gli animali, con il trattore. Mi piace fare tante cose, produrre una bottiglia di vino a nome mio è un altro sogno che vorrei diventasse realtà”.
Hai fondato anche l’accademia Candela
“E’ nata con la passione che ho dentro. Controllare che i bambini facciano tutto bene. Non creiamo i campioni ma gente a cui piaccia un certo tipo sport nelle condizioni migliori. E’ difficile la scuola calcio. Se nella scuola normale un bambino prende un brutto voto non succede nulla, se un bambino non gioca o l’allenatore sbaglia il papà subito vuole parlare con il mister”.
Garcia
“Ha sorpreso anche me. La squadra ha avuto un paio di anni di difficoltà e lui ha ribaltato l’aspetto psicologico. La società ha comprato i giocatori che lui voleva. E’ difficile dire qualcosa che non va ora. Ho avuto il piacere di incontrarlo nel ritiro e a Trigoria. E’ una persona umile e semplice. E’ una persona affidabile e coerente. Con lui i giocatori possono parlare di tutto”.
Dove può arrivare la Roma?
“L’ho detto prima che iniziasse l’anno: si può giocare lo scudetto con la Juventus, non ha altri rivali. La Juve, dopo due anni di vittorie, ha qualche problema con l’allenatore. La Roma può tranquillamente vincere lo scudetto”.
Confronti con la Roma del 2001?
“Io conosco Totti e De Rossi, non conosco gli altri. Se sono arrivati lì significa ci sono anche tanti uomini veri. Basti guardare il primo gol di Benatia, quando ha segnato pur essendo caduto, a Genova. In tanti avrebbero alzato la mano chiedendo il rigore. La squadra è compatta come eravamo noi. Noi eravamo molto forti ma anche quest’anno ci sono Totti, De Rossi, Maicon, Balzaretti, da me sempre difeso perché dà tutto, dà l’anima. L’anno scorso tutti hanno fatto male, tranne Totti. Dopo il gol al derby stiamo vedendo un altro Balzaretti. Poi De Rossi, Strootman, Gervinho, che fa impazzire tutti, ha tutte queste finte che nessuno capisce, sarà difficile fermarlo”.
Un messaggio ai tifosi?
“Posso solo ringraziarli, dico loro di non cambiare mai. I giocatori passano, la maglia e i tifosi rimangono per sempre”
Fonte: roma channel