(G. Piacentini) – Il suo inizio di stagione ha messo tutti d’accordo, come non capitava da molto tempo. Oggi Daniele De Rossi può essere tranquillamente inserito nella lista dei centrocampisti più forti d’Europa senza che nessuno storca la bocca. Fino a qualche tempo fa, però, non era così e proprio questa mancanza di fiducia la scorsa estate lo aveva spinto a prendere per la prima volta in considerazione l’ipotesi di lasciare la Roma. A confessarlo è lo stesso De Rossi in un’intervista che andrà in onda oggi su Sky. «Quando ho parlato con Garcia e con la società – ha spiegato il centrocampista – ho detto che avrei voluto ascoltare eventuali offerte, vederle, valutarle, mentre negli anni scorsi avevo sempre respinto ogni proposta ancor prima di ascoltarla. Quest’anno sentivo che poteva essere l’anno giusto nel quale cambiare, perché nella scorsa stagione le cose non sono andate bene, e io voglio che le cose vadano bene per me e per la Roma. Essere un giocatore della Roma e non fare felici i tifosi, non mettere tutti d’accordo come quasi sempre è stato, per me era un peso abbastanza schiacciante».
Un peso di cui ha avuto la tentazione di liberarsi, prima che i sentimenti prevalessero sulla ragione. «C’erano tante cose che non andavano, ma forse ce n’era una ancora più grande, che non andava bene a me: non potevo pensare che la mia ultima partita con la maglia della Roma fosse “quella” (la finale di Coppa Italia persa con la Lazio il 26 maggio, n.d.r.). Quella era la cosa che non riuscivo a mandare giù: mi potevo immaginare in qualsiasi squadra del mondo, ad alzare qualsiasi trofeo, ma pensare che io avevo giocato l’ultima partita con la maglia della Roma in un derby perso in finale era la fine della storia d’amore più grande che io conosca tra un calciatore e una squadra. Ma era la fine sbagliata ».
A contribuire a riscriverla ha pensato Rudi Garcia. «La prima volta che ho parlato con lui al telefono ero ancora in vacanza. È stato subito molto disponibile, credevo e sentivo che lui mi vedesse come un giocatore suo, mentre tutto il mondo stava dicendo il contrario, cosa che poi non era vera. Tutti mi davano in qualche città esotica, da qualche parte a firmare chissà quale contratto, mentre lui mi ha trattato come un giocatore suo. Oltre alla grande disponibilità, mi è piaciuto subito il senso di appartenenza o, comunque sia, la voglia di parlare del lavoro e della prospettiva di fare una grande annata insieme». Per il momento, su questo non ci sono dubbi, hanno avuto ragione entrambi.