(R. Maida) Pjanic non è commosso. Pjanic piange. Piange così fragorosamente, di getto, di pancia, di amore, da non riuscire a parlare. Gli mettono il microfono davanti, quelli della tv di Bosnia che stanno festeggiando ai bordi del campo di Kaunas. Dzeko risponde alle domande. Pjanic non ce la fa, si tocca il cuore per una felicità che non ha tanto di sportivo. (…)
I RICORDI – Pjanic aveva due anni nel 1992, quando la sua terra è stata deflorata e dilaniata da uno dei peggiori massacri del Novecento.Non ha senso ora mettersi qui a stabilire le percentuali di responsabilità: la Bosnia è un mondo a parte, è una nazione unita tra le Nazioni Unite solo sulla carta, divisa com’è tra la maggioranza di bosgnacchi musulmani (48%) e dalle consistenti minoranze di serbi ortodossi (37,1%) e croati cattolici (14,3%). Ancora oggi ha una presidenza tripartita. Nel periodo della disgregazione della Jugoslavia era il perfetto epicentro degli scontri, che erano etnici e pure religiosi. Pjanic ricorda poco ma sa, per questo porta da 21 anni quel magone addosso. E’ stato fortunato, rispetto ai 100.000 che sono morti lui non ha sentito neppure un kalashnikov. (…)