Non so voi, ma io risento in bocca il sapore dei Polaretti, quei ghiaccioli in fiala di plastica che si compravano in serie e si tenevano in freezer. Rivedo la chioma cotonata di Toto Cutugno a Sanremo, Heather Parisi che alza la gamba fin sopra la testa per le coreografie di Franco Miseria, “Happy days” prima di cena, il vicino di casa che metteva il telo grigio sopra la macchina ogni volta, dopo aver parcheggiato; le ultime signore anziane che ancora mettevano le sedie fuori di casa al pomeriggio, il Tango di gomma da cinquemila Lire che diventava ovale dopo qualche giorno, il gusto Puffo del cono gelato, che almeno una volta a turno ci siamo cascati tutti.
Tutto questo – Carlo Conti nun te temo – per dire che una Roma così padrona, signora del campo e sovrana degli umori del nemico, non la vedevo dai primi anni ottanta e neppure quella pragmatica e muscolare di Capello era arrivata, nella partita secca, a darmi quest’impressione di onnipotenza tecnica e tattica, nella gestione della gara, con tanto di concessione di qualche distrazione di troppo da parte di Balzaretti, sempre Sua Maestà comunque, ci mancherebbe.
E pure all’epoca, comunque, nella San Siro nerazzurra poteva capitare di vincere – non così di frequente, tra l’altro – ma mai di maramaldeggiare, come dicono quelli che parlano bene.
E all’epoca non avevo Totti, che qualche anno fa ancora veniva processato come Galileo, da chi non voleva arrendersi all’evidenza, per poi essere incensato da tutte le chiese giornalistiche del Regno d’Italia: sempre troppo tardi, ma c’è anche più gusto. Tra l’altro Galileo le sfere le faceva cadere per dimostrare l’effetto della rotazione terrestre sui corpi gravi, ma mai avrebbe saputo stop parole con tanta naturalezza, o tenerle basse e tese per fulminare Handanovic.
Quando un disimpegno riesce a essere più bello di un goal meraviglioso, del resto, allora è segno che la perfezione può anche abbassarsi i calzettoni per mostrarti i parastinchi.
Finisce che ancora nessuno riesce a svegliarmi, mentre sto facendo l’amore con un sogno di gloria che corre più di Gervinho che a sua volta pare George Best contro il Benfica: neppure gli applausi degli avversari, persino più numerosi dei cartellini di Tagliavento, pensa te.
Paolo Marcacci