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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Rudi Garcia

Chi si fosse assopito, durante il primo tempo, a causa del ragù domenicale e delle pastarelle d’ordinanza, si sarebbe perso poco in assoluto e quasi niente della Roma. A svegliarlo di quando in quando, il giallo fosforescente dei cartellini bergonziani, as usual, che piovono copiosi ai primi contatti e che pregiudicano, in maniera diversa a seconda dei casi, la partita dei destinatari. Le vibrazioni del palo iniziale di Muriel dovrebbero servire più che altro a far suonare la sveglia anche nel reparto difensivo della squadra giallorossa che tradisce qualche ingenuità di troppo e regala metri in maniera inusuale alla Maginot di centrocampo allestita da un Guidolin abbottonato più di quanto le temperature friulane giustifichino.

Di Totti ce n’è uno, qualora occorra ribadirlo: gestione delle palle inattive, pressione nella trequarti avversaria e soluzioni offensive diversificate oggi non ci sono e non è certo colpa di Borriello, che ha il solo demerito di offrire un punto di riferimento costante sia alla propria squadra che a quella avversaria.

Si riprende, dopo il tè caldo corretto coi distillati locali, con la stessa Roma, abbastanza ammonita, sia da Bergonzi come già sottolineato, sia per i rischi che deve evitare di correre, vedi quei rimpalli che nei trenta metri finali possono sempre favorire due come Muriel e Di Natale.

Maicon, dopo aver scavato il solito solco sulla corsia dove troneggia da un decennio, commette l’ingenuità che lascia la Roma in dieci, dopo un primo giallo che Bergonzi, sempre lui, poteva tenere nel taschino foderato di autoritarismo e non di autorevolezza, distinguo fondamentale tra un grande arbitro e uno appariscente. Te ne ricordi sempre quando arriva il secondo, anche se giusto.

Lo zero a zero, con la partita resa più problematica dall’inferiorità, potrebbe avere un sapore più dolce di quanto si potesse pensare all’inizio; nel frattempo, tra gli aggiustamenti di Garcia, ormai sciamano dichiarato, c’è il ritorno del Bradley che non t’aspetti: Strootman caterpillar per vie centrali, palloncino invitante come una fanciulla di Pordenone in gita scolastica e conclusione dell’americano che va a pizzicare i tre punti là dove s’erano rintanati dando l’impressione che più nessuno potesse insidiarli.
È la vittoria più importante di tutte le nove sin qui inanellate a ritmi che non sembrano di questa galassia.

Guidolin, fischiato per il cambio di Muriel, alla fine assiste piagnucoloso sotto il cielo di Udine.

La capolista se ne va, salutando Nino l’imbianchino.

Paolo Marcacci 

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