(G. Di Feo) – E meno male che all’Arsenal l’hanno ceduto senza troppi rimpianti, ricordandoselo più con le mani al volto per gli erroracci che con le dita al cielo per esultare. Bene,il Gervinho inglese non esiste più. Quello che ha respirato l’aria di Roma è un tornado da contropiede, che mette in pratica pure quando la maglia è quella della Costa d’Avorio.
Ad Abidjan gli Elefanti hanno pestato il Senegal e messo praticamente un piede in Brasile e non è un caso che, in un modulo speculare a quello di Garcia, il giallorosso sia stato l’architrave di tutti e tre i gol dei suoi. Schierato come esterno sinistro di un 433 compatto e scattante, Gervinho si mangia i dirimpettai e nell’ordine: parte e si fa atterrare in area da Gassama (Drogba trasforma un penalty nettissimo); parte e spara un diagonale che, deviato dalla coscia di Sané, inganna il portiere per il raddoppio; parte ma vede Kalou che fa lo stesso e lo serve rasoterra per il tris. Lamouchi gli ha concesso pure la standing ovation all’89’, ed evidentemente la sua presenza serviva anche da talismano visto che nel recupero il Senegal ha accorciato con Papiss Cissé in mischia.
Ma è una prestazione confortante per Gervinho non solo in quanto tale, ma anche perché dà un bel colpo di spugna al ricordo di quel maledetto 12 febbraio 2012 a Libreville, quando spedì alto il quattordicesimo rigore di una serie infinita consegnando la Coppa d’Africa allo Zambia. Nel ritorno del 16 novembre a Casablanca (il Senegal ha il campo squalificato a causa dei tumulti di un anno fa proprio contro Drogba e compagni) alla Costa d’Avorio basterà difendere il vantaggio e scattare appena può, gioco che le è congeniale.